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Iago
Shakespeare in versione American Pie con le pretese di un film in costume, seppur contemporaneo. Una sfilza di contraddizioni in cui è racchiusa la cifra cinematografica di Iago, opera seconda di quel Volfango De Biasi che con Come tu mi vuoi ha fatto breccia nel fiorente mercato dei teen-movies disimpegnati e sguaiati. Lo spunto è l'Otello, rivisitato secondo la prospettiva di uno dei cattivi per eccellenza della tradizione narrativa e teatrale. Iago interpretato da Nicolas Vaporidis dovrebbe essere un giovane studente di architettura in lotta per la giustizia e contro un sistema di potentati che lo sta privando dei suoi meriti e della sua amata Desdemona (Laura Chiatti). Come spesso accade nel nuovo cinema made in Italy, tuttavia, i nobili propositi si rivelano subito mero pretesto per un plot scontato, su cui incasellare gag dalla comicità facile e volgare, pullulante di ragazzotti festaioli in delirio ormonale che di shakespeariano hanno poco. L'opera del drammaturgo ne viene non attualizzata ma sminuita, ridotta a citazione colta con cui coprire la mancanza di una qualsiasi profondità timica o estetica. Così come lo stile del testo di Otello viene ripreso di tanto in tanto per essere poi abbandonato con qualche parolaccia a effetto, così l'intero film parte dalle perle per sprofondare nella fanghiglia del vuoto culturale contemporaneo. Patetico poi il riferimento al Romeo+Juliet di Baz Luhrmann, dove almeno l'ambientazione post-moderna e kitsch risultava funzionale al potere trasfigurante dalla poesia di un dramma senza tempo. In Iago, invece, la formula "Ambizione + gelosia + passione" (sottotitolo del film) è chiaro indice di una mancanza di idee e di una aderenza totale allo stereotipo emergente dei giovani senza amore, senza scrupoli… e senza grammatica. Un mondo in cui i sentimenti e l'arte sono stati seppelliti sotto il glamour fetish di maschere carnevalesche succinte e ammiccanti: deprimente.