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È un miscuglio particolare di realtà e finzione Les Estivants (I Villeggianti) di Valeria Bruni Tedeschi, film che si configura come un capitolo di un’autobiografia immaginaria. Già a partire da un’occhiata al cast ci rendiamo conto che buona parte degli attori interpretano quello che è il loro ruolo all’interno della vita della regista, che per il suo ultimo film veste i panni della sua alias Anna.
Siamo invitati a trascorrere un’estate nella lussuosa villa sulla Costa Azzurra dove la protagonista e la sua famiglia ogni anno trascorrono le vacanze insieme ad amici e personale di servizio.
Questa volta però Anna sta attraversando una dolorosa separazione e non vuole accettare che Luca (Riccardo Scamarcio) la stia lasciando per una modella che in lingerie occhieggia dai manifesti pubblicitari.
Nel frattempo Anna scrive un film autobiografico sulla sua famiglia con l’aiuto di una sceneggiatrice (interpretata da Noémie Lvovsky, una delle vere sceneggiatrici del film). E anche se, come nella realtà parallela della famiglia Bruni Tedeschi, c’è una mamma pianista, una figlia adottata, un fratello morto a causa dell’AIDS e così via, l’immaginazione feconda il tutto e i personaggi sono calati in situazioni tragicomiche che funzionano.
Con sguardo divertito ma (inevitabilmente) partecipe e dunque con sincerità e trasporto, il film racconta le piccole normali follie di un gruppo eterogeneo di persone.
La ricca famiglia vive in un microcosmo apparentemente protetto da cui vorrebbe escludere i problemi del mondo esterno, che emergono solo nelle conversazioni accese della servitù.
I proprietari sono piuttosto ossessionati dall’invasione dei cinghiali, dal fatto che non sono state erette delle barriere per tenerli lontani: come se insieme ai cinghiali potessero tenere lontano tutto ciò che di indesiderato e feroce proviene dal mondo esterno.
Ma non c’è barriera che tenga, e a rivelarlo a tutti sarà paradossalmente il figlio un po’ tonto del cuoco, anche se Anna l’ha già capito e, mentre combatte contro il dolore della separazione, con il suo film vuole raccontare cosa è andato storto nella sua famiglia.
Diviso in atti, con prologo ed epilogo, il film parte con un ritmo vivace per rallentare nella sua seconda metà, dove ci sentiamo un po’ come Célia (Oumy Bruni Garrel) la figlia di Anna, unica bambina del cast: spettatrice di solitudini che si mettono in scena, si intrecciano senza parlare veramente.
“Finché parli sei vivo. Qui senti la morte che arriva, nessuno risponde”, constata secca (e ovviamente inascoltata) la vecchia zia (Gigi Morini). Se il contatto c’è, con una scintilla esplode violento per spegnersi in un baleno, che si parli della differenza tra destra e sinistra o della definizione tecnica di abuso sessuale.
In un film in cui anche quando le questioni sembrano risolversi in realtà si scopre che le cose stanno peggio di prima, il finale sembra destinato alla sconfitta: eppure in una vertigine di rispecchiamenti si manifesta tutto il potere dell’immaginazione.
Anna/Valeria lo pretende un happy end, per quanto farlocco: e così alla fine la vediamo interpretare se stessa mentre recita se stessa subito prima di perdersi in una fitta nebbia, quella della finzione della memoria che a volte coincide con la magia del cinema.