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I tre moschettieri
Un aggiornamento tecnologico, che altro? 3D, coreografie alla Matrix, persino caravelle volanti. Sono I tre moschettieri secondo Hollywood, ennesimo adattamento cappa, spada e digitale che probabilmente non avrebbe fatto inorridire Dumas (dotato di uno spiccato senso dell'ironia, lo scrittore si sarebbe fatto quasi certamente una risata) ma ha già fatto imbestialire - e non poco, pare - la Francia: guai a toccarle la tradizione, soprattutto se a farlo ci pensano gli antipatici yankee.
Noi italiani ce ne faremo una ragione, divertendoci pure di fronte a un prodotto formato famiglia che mantiene quel (poco) che promette (intrattenere). E poi, se ci siamo sorbiti per quasi dieci anni I pirati dei caraibi - non disdegnando affatto - perché dovremmo storcere il naso dinnanzi a un'operazione che - nome a parte - sembra ricalcare quell'altra a menadito. Certo, al soggetto si dovrà pur concedere qualcosa: così se I pirati viravano sul fantasy e l'horror la loro nave delle meraviglie (e dei miliardi), I moschettieri di Paul W.S. Anderson si devono accontentare invece della libera reinvenzione della storia e della romantica cialtroneria dei suoi protagonisti, i cui caratteri sono fissati per sempre nell'immaginario collettivo.
L'intreccio è banale ma riesce comunque a zoppicare non poco: l'incipit a Venezia è solo cacofonico, alcuni passaggi maldestri - vedi la spedizione in Inghilterra dei moschettieri - e qualche caratterizzazione sotto la soglia della decenza (soprattutto perché gli sceneggiatori non sanno su quale cattivo puntare: il machiavellico - si fa per dire - Duca di Buckingam/Orlando Bloom, o il più classico villain Rochefort/Mads Mikkelsen?). D'Artagnan (Logan Lerman) è, tra i quattro protagonisti, quello che riesce meglio ad aderire al mito del guascone impetuoso e sfrontato, mentre Aramis (Luke Evans) è sottotono, Athos (Matthew Macfadyen) troppo serioso, e Porthos (Ray Stevenson) trasformato da temibile trippone a bestione tutto muscoli. Freddie Fox è un simpatico, effeminato Re Luigi, e proprio per questo la sua passione per la principessa Anne (Juno Temple) ha zero credibilità. I migliori sono la tremendamente erotica Milla Jovovich, capace di regalare alla sua subdola Milady accenti di fragile femminilità, e Cristoph Waltz, compassato e diabolico come al suo solito nei panni del cardinale Richelieu.
Ma a illuminare il film con quella faccia un po' così, talmente angelica da risultare malandrina, è la giovane Gabriella Wilde: la sua Constance fa perdere il sonno al vanaglorioso D'Artagnan. E non solo a lui.