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François Civil in I tre moschettieri - D'Artagnan (credits: Ben King)
Ogni epoca ha i suoi Tre (anzi Quattro) moschettieri ma il cinema francese non tornava sul tema da quasi trent’anni, quando Bertrand Tavernier riprese i personaggi del classico di Alexandre Dumas per la libera rielaborazione di Eloise, la figlia di D’Artagnan. Dagli Stati Uniti alla Russia, il romanzo è stato oggetto di moltissimi adattamenti, spesso alquanto beceri, quindi il vago sentore di déjà-vu che emana un’operazione del genere va invece visto come una sorta di “riappropriazione culturale” di un patrimonio nazionale (letterario e non solo) da parte dell’industria audiovisiva transalpina.
Che ha scelto proprio I tre moschettieri per offrire al pubblico un’esperienza squisitamente popolare, un po’ antica considerando che, sulla carta, c’erano tutte le condizioni per una serialità (e dopotutto Dumas lo scrisse a puntate): il film in due parti (la prima in uscita per il weekend di Pasqua, la seconda fissata per il periodo natalizio), una sontuosa, fastosa, ricca produzione (il budget del dittico si aggira sui 70 milioni di euro) che possa costituire un evento capace di attirare in sala un pubblico largo e trasversale, portando la tradizione – e le ambizioni – del “cappa e spada” nella contemporaneità.
Prodotto da Dimitri Rassam, scritto da Matthieu Delaporte e Alexandre de La Patellière e diretto da Martin Bourboulon (lo stesso team sta già lavorando alla nuova trasposizione de Il conte di Montecristo), il primo capitolo de I tre moschettieri si concentra sull’eroe titolare del sottotitolo, D’Artagnan, il giovane guascone che sogna di diventare moschettiere del re, che nell’incipit viene dato per morto e sepolto vivo dopo aver cercato di salvare una ragazza da un rapimento.
Arrivato a Parigi, si mette alla ricerca dei suoi aggressori, ma l’episodio personale si incrocia con il destino di tutta la nazione: il regno guidato da Luigi XIII, infatti, è sull’orlo di una nuova guerra di religione, con le forze protestanti sostenute dall’Inghilterra contrapposte alla vorace nobiltà cattolica, che ha il suo capo nell’ambiguo cardinale Richelieu. Alleandosi con i moschettieri Athos, Porthos e Aramis, mentre scopre l’amore con Costance, la confidente della Regina, D’Artagnan si metterà contro l’avida, feroce, spietata Milady.
Ritmo incalzante sin dalla partenza immersiva (nonostante qualche lentezza nella prima oretta), confezione prestigiosa che sa coniugare le atmosfere del royal drama con suggestioni del passato (quasi una variante smaliziata de La regina Margot, con la fotografia terrigna di Nicolas Bolduc) e anacronismi dichiarati (i costumi sfuggono con eleganza alla ricostruzione scolastica e conformista), I tre moschettieri sa quello che vuole e lo fa bene.
Merito anche di un cast particolarmente azzeccato che mette insieme giovani in ascesa (gli affascinanti François Civil e Lyna Khoudri), interpreti solidi e navigati (Romain Duris, Pio Marmaï: una sicurezza), icone d’autore (i reali Louis Garrel e Vicky Krieps, divertiti e gigioni), teatranti di razza (Eric Ruf e Dominique Valadié della Comédie-Française, il drammaturgo Alexis Michalik), star internazionali (Vincent Cassel e l’irresistibile Eva Green). E proprio a lei, Milady, sarà dedicato il secondo capitolo.