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I re e la regina
Chiacchiere dalla Francia: Arnaud Desplechin, con il bel film Rois et Reine (I re e la regina), preferisce la strada più urbana, forse occidentale, ma non meno complessa, della parola, del fitto dialogo esteriore e di quello interiore - non per questo meno intenso -, con la propria anima, per esprimere le inquietudini di una donna circondata dall'oscurità e dalle solitudini, e che non sapremo se troverà mai la sua vera essenza. E' una storia di amori "regali" quella sceneggiata con estro e consumata attitudine dallo stesso regista e da Roger Bohbot. Sono passioni tutte sbagliate, rapporti conflittuali, anche tragici. E' un intrecciarsi vitale e un raggomitolarsi difensivo che pone tutti, i "re" (nudi davanti alla verità dell'amore) e la "regina" (vestita di uno dei cliché difensivi più comuni, l'indecisione) ai nastri di partenza per una gara molto accidentata: la vita. Sembra di essere, anzi, siamo, dalle parti di Truffaut: un'ingarbugliata condivisione di titubanze, piccole follie, confusioni, afasie che oggi regnano quando si parla di sentimenti e di famiglia, ma sotto lo sguardo sereno e divertito di Desplechin. Il quale si avvale di un buon cast femminile, tutto francese, che risponde ai nomi di Emmanuelle Devos e Catherine Deneuve. La prima è Nora, la regina, che si auto-confessa lungo tutto il film: lo pseudo-omicidio dell'amante, portato al suicidio per una forma di paura logorroica della donna (ma che, tenacemente, conserverà in grembo il figlio, in una forte e condivisibile difesa della maternità); l'eutanasia per scopi terapeutici inflitta al padre (il dolore è insostenibile), il quale le lascerà in eredità parole terribili. La seconda, invece, è una psichiatra integrata nella società che ha in cura l'ex-marito di Nora, Ismäel (l'attore Mathieu Amalric), sorta di istrionico viveur che alla fine sa anche essere un uomo saggio. Malinconia? Certo, con un tocco di classe.