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Michael B. Jordan e Miles Caton in I Peccatori - © 2025 Warner Bros. Entertainment Inc. All Rights Reserved. Photo Credit: Courtesy of Warner Bros. Pictures
Oggi come oggi Ryan Coogler è uno di quei pochi registi dal potere contrattuale enorme. Solamente al quinto film (Fruitvale Station, il primo Creed e poi il dittico Marvel Black Panther e Wakanda Forever), il regista classe ’86 si cimenta con un’opera ambientata nel Mississippi dei primi anni ’30 mescolando un’infinità di registri: I peccatori, nelle sale dal 17 aprile con Warner Bros.
Chiama a sé per la quinta volta (su cinque) Michael B. Jordan, che per l’occasione si sdoppia e interpreta i due gemelli Smoke e Stack: un passato da soldati durante la fase finale della Grande Guerra, un tentativo di arricchirsi come gangster nella Chicago di Al Capone, tornano nella loro città natale – la rurale Clarksdale, luogo di mezzadri e cantanti blues – alla ricerca di un nuovo inizio. Rilevano una vecchia segheria con l’ambizione di trasformarla in un juke joint e per la prima serata, quella inaugurale, coinvolgono anche il giovane cugino, Sammie Moore (l’esordiente Miles Caton), figlio di un reverendo dal talento musicale inarrivabile.
Ed è su questo bivio che Coogler costruisce la segnaletica drammaturgica di un film che – prologo a parte (comunque già abbastanza indicativo) – esplode in maniera sanguinolenta dopo la prima ora di racconto (durata totale due ore e venti minuti, troppo), proprio all’apice della serata al juke joint dove a farla da padrone fino a quel momento erano i fiumi di alcool, il sesso occasionale e i balli sfrenati.


Ryan Coogler sul set de I peccatori - © 2025 Warner Bros. Entertainment Inc. All Rights Reserved. Photo Credit: Courtesy of Warner Bros. Pictures
Senza mai evocarlo (a differenza di Charley Patton, che viene nominato a proposito di una presunta, precedente paternità della chitarra che ora appartiene a Sammie), I peccatori prende naturalmente spunto dalla leggenda di Robert Johnson, tra i più grandi bluesman mai esistiti, che da ragazzino in un crocevia desolato vendette la sua anima al diavolo pur di suonare la chitarra come mai nessun altro aveva fatto prima e come forse mai nessun altro avrebbe mai fatto.
Proprio sul doppio, ambiguo potere della musica (capace di evocare gli spiriti del passato e del futuro, come in quel caotico e altrettanto suggestivo piano-sequenza che mescola generi e performer di varie epoche) Coogler insiste per dare sfogo incontrollato ad un film talmente “pieno” di riferimenti e derive da risultare poi paradossalmente meno potente di quanto avrebbe voluto, e dovuto essere.
Dallo spettro del Ku Klux Clan alla cultura hoodoo, passando dal musical e sfociando nel vampire-movie più efferato, I peccatori è un Dal tramonto all’alba che affonda i denti nel tessuto molle e paludoso di un’America che non ha ancora chiuso i conti con il proprio passato, razzista e segregazionista: meno raffinato e stratificato dei black-horror di Jordan Peele e più votato alla spettacolarizzazione, con la virata soprannaturale palesemente esibita, il film di Coogler è una contaminazione manifesta – di generi, cinematografici e musicali, per non parlare del dispositivo, con l’utilizzo di Super Panavision e la pellicola 143 IMAX, 15 Perth, “questo lo rende allo stesso tempo qualcosa di antico e moderno”) – che contrappone l’utopia dell’eternità alla perdita della libertà (quello che in fondo promette questa “nuova” setta di vampiri…).
Concettualmente ardito e seducente, I peccatori finisce però per soccombere sotto la sua stessa grana grossolana e “muscolare”, con tanto di sparatoria finale – per carità liberatoria quanto si vuole – degna di uno dei capitoli meno riusciti di franchise come Rambo.
E, come se non bastasse, c’è tempo anche per un’ulteriore coda durante gli end credits, con balzo temporale in avanti di sessant’anni e performance di Buddy Guy che, di lì a poco, riceverà una visita inaspettata…