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“… in ricordo del presente”.
Dopo La veduta luminosa, nel quale immaginava di mettersi sulle tracce del poeta Hölderlin, Fabrizio Ferraro torna stavolta al 1944, sui Monti Marsicani, nell’Appennino dell’Italia centrale.
Quattro partigiani fuggono in mezzo alla neve. Sono inseguiti, cercano un rifugio, incontrano una ragazza.
“Combattiamo per la libertà, per la liberazione, per la giustizia. Ma non dobbiamo combattere per queste parole, seppur bellissime”.
I morti rimangono con la bocca aperta – in concorso Progressive Cinema alla Festa di Roma – conferma nuovamente la qualità dello sguardo di Ferraro, ancora una volta sospeso nel limbo tra la concretezza dell’oggetto film e l’assenza di vincoli che dovrebbe avere il linguaggio cinematografico: “l’idea autoriale che sta alla base di ogni opera non può soverchiare il paesaggio”, dice non a caso il regista, che eleva l’elemento naturale – la neve impetuosa che cade dal cielo, la neve che tutto copre intorno a quei 4-5 personaggi – a vero protagonista assoluto.
Come lo è ancora una volta la luce, o meglio il modo in cui Ferraro tenta di catturarla e mutarne i riflessi, le forme, sfocando i bordi dell’immagine, i contorni delle persone, in continuo dialogo tra il presente e il ricordo, in quel bianco e nero che è memoria e futuro insieme.
"Cosa ci dicono i morti e perché difficilmente ci mettiamo ad ascoltarli? – si chiede il regista –. Continuamente ci dicono qualcosa… anche di questo nostro presente, un Piano fisso bianco. Certo, le immagini potranno aiutarci purché si astengano dal dire. Allora, forse, finalmente riusciranno ad incontrare la vita pulsante nel momento stesso del suo farsi e a farci sentire che le nostre grandi paure non vengono mai dal futuro ma dal passato, come ci ricorda Primo Levi”.
La marcia funebre di Mahler (la Sinfonia n.1) contrappunta gli spostamenti in campo largo di quei partigiani, ma anche gli intervalli di tempo non seguono una logica narrativa abituale: è un continuo andare e venire, cercare riparo (dalle bufere, dal freddo, ma anche dagli spari che arrivano di là del bosco) e cambiare di numero: una volta sono in 4, poi in 5 (con la ragazza che prima indica il cammino, poi viene considerata una spia...), poi di nuovo in 4, a volte in 2.
Ma, anche in questo, il film di Ferraro non si preoccupa di dialogare in maniera banale con lo spettatore (che è chiamato invece a vivere l’esperienza di una visione), piuttosto di instaurare un legame tra un contesto storico definito e una contemporaneità indecifrabile.
Perché I morti rimangono con la bocca aperta, e sarebbe il caso che iniziassimo davvero a sentire il suono delle loro parole.