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I girasoli
Mai come in questo film il titolo funge da ardita sineddoche per esemplificare i significati di un testo cinematografico densissimo, probabilmente l'opera prima più importante e affascinante vista alla ventesima edizione della SIC. Petali, steli, gambi, foglie, alti fusti verde acceso, più la corona giallo fuoco che tende al marrone come in un quadro di Van Gogh. I girasoli sono palesi metafore del sentire, sono folgoranti illuminazioni fotografiche, sono sfondo ambientale e silenzio interiore, sono perfino raccordo oggetto tra alcune inquadrature ed altre. I fiori dal collo ricurvo invadono lo schermo e una Mongolia rurale, che sembra il Kansas o l'Iowa. Un cantastorie introduce tramite chitarra e armonica, pezzi musicali folk rock alla Bob Dylan e nel suo peregrinare ("e al tuo arrivo ricomincia la storia", dice uno dei motivi suonati in campo dal cantante Yang Yi, reale chitarrista folk cinese) si ferma nel villaggio dove vivono Xiao Gang e A Mei. "Tutto ciò che hai sofferto è il prezzo della mia salvezza" enuncia uno dei versi in note, che rimangono a vibrare, suono bizzarro e diegetico: lui è stato in carcere sei anni per violenza sessuale, lei quella violenza l'ha subita; lui le invia buste con dentro petali gialli, lei corre in mezzo alle distese di fiori ancor più gialli; lui tosta semi di girasole e li vende, lei riceve e gradisce la posta fiorita. Diviso in capitoli e in sequenze che spesso non hanno consecutio tempo, I girasoli è un film terribilmente astratto e figurativo, giocato sull'ermetismo della recitazione e sulle pochissime parole dette. Anche se alla fine potrebbe risultare una semplice storia d'amore per il prossimo e di composto e dilaniante senso di colpa. Eppure il film sprigiona una forza visionaria e una compattezza di scrittura che spaventano, una decisa, precisa e intensa poetica della messa in scena. "Ora puoi scegliere se andartene per sempre senza odio né rancore" (ancora il folksinger). Straziante. Chapeau. Titoli di coda.