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39 bambini tra i 9 e o 13 anni. Ognunoi viene intervistato nella propria stanza. La telecamera, che documenta in presa diretta le loro testimonianze, diventa il mezzo per guardare il mondo con gli occhi dei più piccoli, per toccare da vicino pensieri, sensazioni, attese, desideri, speranze. Quella che emerge è una confessione a cuore aperto sul presente e sul futuro dell'Italia, un tipo di approccio alla vita secondo quello che si agita nella mente e nel cuore della futura generazione di italiani.
All'inizio c'è una frase tratta da Saint Exupery: "I grandi non capiscono mai niente da soli e i bambini si stufano di spiegargli tutto ogni volta". Detta la prima volta, fa un certo effetto, più avanti ne emerge quella certa banalità che riassume il fiato corto dell'operazione.
Lo scorso anno (2014), per il suo film d'esordio ('opera prima' sembra troppo generoso), Walter Veltroni aveva diretto Quando c'era Berlinguer e certo si trattava di una materia con la quale per vari motivi aveva maggiore confidenza: conoscenza diretta del protagonista e di altri personaggi coinvolti; possibilità di usare vecchi spezzoni d'archivio, interviste d'epoca, in parallelo e sul fronte contemporaneo incontri con giovani per i quali il none appariva quasi sconosciuto. Insomma un lavoro utile di ricostruzione di una fetta importante della memoria storica e politica dell'Italia recente. Il salto fatto ora obbliga a scendere su un terreno delicato, difficile, scivoloso. I bambini si vedono rovesciare addosso domande alle quali non si capisce come possano rispondere nei tempi minimi indotti dalla telecamera.
"Cosa serve nella vita per essere felici?" è una di queste, oltre ad altre opinioni sollecitate su temi quali amore, famiglia, religione, sessualità. Non è possibile naturalmente dubitare circa l'autenticità delle risposte ma è forse lecito avanzare qualche perplessità sull'opportunità o meno di sollecitare pensieri in bambini con un equilibrio ancora in via di formazione e non ancora in grado di difendersi e controbattere.
Ne emerge la sensazione di un confronto sperequato e sbilanciato, nel quale l'adulto mette in campo la propria inevitabile 'superiorità' e i bambini sono costretti a subire richieste incalzanti di spiegazioni su argomenti che non possono ancora conoscere bene. L'intervistatore ci mette solo un algido contenitore di richieste di spiegazioni, senza mai aiutare, andare incontro, cercare di essere portatore di gioia, leggerezza, comprensione.
Si chiude dopo quasi due ore monotematiche, senza il ricordo di qualche passaggio commovente e anzi con la sensazione di un prodotto artificioso, fuori centro, un po' accomodante.