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I babysitter
La voglia di “sbocciare”, per dirla in gergo giovanile, conquista anche il cinema italiano. Dimenticate le feste in stile La grande bellezza, e puntate verso la demenzialità di un gruppo di ragazzi allo sbando, pronti a dare l’anima pur di divertirsi. Le regole non contano nelle notti più pazze, e anche un innocuo vecchietto può trasformarsi nel protagonista di Up, con tanto di sedia e palloncini che lo fanno svolazzare in giardino. Ma questo è solo un assaggio. Ci sono pitoni che esplodono, e bravate in pieno stile Una notte da leoni, per rastrellare consensi tra le generazioni sotto i vent’anni. Tutto nasce dalla Colorado Film, che con Diego Abatantuono decide di raccontare una storia a dir poco fuori di testa.
Andrea è un trentenne insicuro. Sogna di diventare un importante procuratore sportivo, ma intanto lavora come ultima ruota del carro nello studio del grande Gianni Porini, una leggenda nel settore, con il casco di Valentino Rossi in soggiorno e il vino di Pelè in cantina. Succede che il capo chieda ad Andrea di fare da babysitter al figlio per una notte. E da qui comincia il delirio. Gli amici del giovane invadono la villa di Porini, e scatenano un putiferio ai limiti del possibile. Alcool, droga, spogliarelliste e criminali in un ambiente da favola che rischia di crollare da un momento all’altro.
Giovanni Bognetti è il regista esordiente di questo pandemonio. Per la sua opera prima, sceglie di girare il remake di Babysitting, commedia francese che faceva degli eccessi il suo punto di forza. Bognetti mantiene la struttura iniziale e cambia i rapporti tra i personaggi, con conseguenze a dir poco insensate. Il buon gusto finisce in cavalleria e gli istinti più sciocchi diventano i veri protagonisti, persi nella bolgia di una festa di compleanno.
I babysitter è la cartina di tornasole della voglia di emulare il cinema americano più corrivo. Ricalca anche Project X – Una festa che spacca, di Nima Nourizadeh, e vorrebbe ispirarsi a Hollywood Party, con risultati pietosi. La comicità finisce sotto le scarpe, specialmente quando un’iniezione di melassa prende il sopravvento. La difficoltà del rapporto padre - figlio è solo un pretesto per gonfiare il baraccone, e il messaggio finale dovrebbe far scattare un divieto non solo ai minorenni ma anche ai loro genitori.
In vena di un’originalità sprecata, il film utilizza una doppia linea narrativa. Il pubblico viene a conoscenza dei fatti tramite una telecamera che riprende in soggettiva tutte le fasi di questo sciagurato pasticcio. Con la tecnica del found footage, Abatantuono e compagni scoprono i fatti il giorno dopo. L’idea non è peregrina e spreme fino all’ultima goccia il già dissanguato filone hollywoodiano.
I babysitter vuole essere una commedia demenziale, e fin qui potremmo anche starci. Ma ci vorrebbe un’altra mano, a scrivere, a dirigere, a montare. Quello che invece si vede sul grande schermo è disarmante e puerile, con un Paolo Ruffini fuori misura più del solito. Maneggiare con attenzione: non provateci a casa.