Qualcuno lo scrisse per Borat, aka Sacha Baron Cohen: “La stupidità non è mai parsa così intelligente”. Piacerebbe a Fabrizio Biggio e Francesco Mandelli, ma non è il caso: “L'idiozia non è mai parsa così intelligente” rimane strozzata in gola. Assieme a qualche risata di troppo. Il problema, del loro ritorno al cinema ne I 2 soliti idioti, non è la volgarità, la trivialità, le parolacce: hanno ragione a dire che il loro è un nuovo linguaggio e a sostenere che è rubato alla realtà fuori schermo e ipercondensato, perché quello dei soliti idioti è un nuovo linguaggio.
Dal “Dai ca**o” in giù, parlano solo per parolacce, dunque, le parolacce non sono una punteggiatura, un intercalare, ma hanno forza semantica, fanno selezione e combinazione, sono il discorso, il vocabolario stesso: non c'è soluzione di continuità, indi, la parolaccia è il dizionario. Ergo, si può dirlo, non è un linguaggio, ossia un film, volgare, bensì la volgarità fatta linguaggio. Non sono sofismi, né sovrinterpretazioni, né ermeneutica del trivio, bensì, attestazione di merito: i soliti idioti parlano una lingua altra, e nel piattume – soprattutto natalizio – del nostro cinema è già qualcosa. Pertanto, che nascondano la mano – “Non siamo diseducativi, ma distruttivi”, “Non chiedeteci la responsabilità di educare” – suona particolarmente fastidioso: sono diseducativi, in quanto diseducano al linguaggio corrente (sul grande schermo e non) per “educarci” a un esperanto multiregionale e ipercafone, che rappresenta il distillato alchemico di tante parlate substandard, disperse tra la Barona milanese e le borgate romane. Perché lanciare questo sasso linguistico nello stagno immoto del culturame nazionale e poi ritirare la mano? Coda di paglia o la solita idiota ipocrisia?
Fatto sta, il cinema non gli giova troppo: la verve di Mandelli-Biggio viene fuori da gag, sketch, boutade, “aforismi”, che mal si attagliano alla linearità narrativa e all'espansione drammaturgica richieste dal grande schermo. Non a caso, le meglio cose non sono dei protagonisti assoluti Ruggero De Ceglie (Mandelli) e il figlio Gianluca (Biggio) in fuga dalla gang dei russi, ma dei tamarri Patrick e Alexio, che aprono il film – e ritornano a singulti – con booster, trifacciale, piumini sgargianti e Minchia Boh dei Club Dogo, esprimendosi con tre parole: non sole, cuore, amore, ma minc**a, f**a, porcodigel. Soliti idioti all'ennesima potenza Patrick e Alexio: vocabolario di tre parole tre, e si capiscono, si fanno capire benissimo. In altre parole, spaccano e trovarli dentro al cinema  a vedere un film dice bene dove dovrebbero stare: non sullo schermo, ma davanti, altrove, su altri supporti.
Al contrario, la storia de I 2 soliti idioti impone si seguano Ruggero e Gianluca tra crisi dell'impero familiare dei wurstel e Guardia di Finanza, il matrimonio in vista con l'orrida Fabiana (il padre austero e rigoroso è Teo Teocoli, con – dicunt gli idioti - esplicita ispirazione a Mario Monti) per il pargolo, la liaison con l'improbabile badante Perla Madonna (Miriam Giovanelli) per papà. Ma l'idiozia – letteralmente - non fa storia: rimane il kit per il parcheggio, una zampata di tigre persa nel bosco e altre poche, belle trovate tamarro-situazioniste. Ma non chiamatelo film. Meglio in tv, meglio sul web? Minc**a boh.