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Hermosa juventud
L'amore, la maternità e la giovinezza ai tempi della crisi. Un caso, tra i tanti, in Un Certain Regard, provenienza iberica: Natalia (Ingrid Garcìa-Jonsson) e Carlos (Carlos Rodriguez) hanno 20 anni, sentimenti condivisi e sogni normali. Del tipo: lui le comprerà una casa al mare quando farà i soldi.
Già, ma quando? La realtà racconta un'altra storia: entrambi vivono a Madrid con le rispettive madri, in appartamenti fatiscenti e dentro giornate ammazzate di chiacchiere e di noia. In attesa del domani. E il domani rivela che i due sono ancora insieme, più stanchi, più scialbi, già compromessi, di passaggio dal mercato del porno a quello genitoriale, dove i soldi - la mancanza di - condizionano più dei bebè. Non ci sono soluzioni, ma nuove illusioni e fantomatiche fughe in eldorado tedeschi. La notte al termine del viaggio.
Insomma si ride poco e ci si consola meno con Hermosa Juventud di Jaime Rosales, che passa in rassegna (stampa) i luoghi ameni della crisi parlando a Spagna perché Europa intenda. Nulla che non si sappia già, che non sia stato già letto o visto o appreso da qualche altra parte. Se il digitale e la docu-fiction sono ormai i contrassegni del cinema a basso costo, la povertà è tutta di intelletto, di forma e di immaginazione. C'è da un po' di tempo anche nel cosiddetto cinema d'autore (della cui schiera Rosales, si pensava, facesse parte) un'incapacità di guardare oltre, guardare meglio, guardare diversamente. O dovremmo forse chiamarlo un rifiuto?
Comunque sia, Hermosa Juventud si accomoda su un grigiore fenomenico, riduce la grammatica a una scala di primi e primissimi piani che fa tanto lessico d'inchiesta e si illude che l'inclusione nel racconto di paradigmi comunicativi 2.0 (skype, what's up, selfie e quant'altro) basti per diventare moderni.
Senza un profondo ripensamento di forme narrative ed estetiche invece, non c'è realismo che riesca a scardinare il reale e i suoi genomi nascosti.
Il rischio come sempre è di capovolgere il "cinema della crisi" nella "crisi del cinema". In fondo, per ambedue, di mancanza di prospettive si tratta. O no?