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Esterno notte. Luci al neon che si infrangono elettricamente sul buio di esistenze silenziose, disperate. Ah Jie (lo stesso Lee Kang-Sheng) ha perso tutto per un crollo della Borsa. La stessa casa dove continua ad abitare, coltivando e fumando marijuana, è "imballata" dai sigilli del sequestro giudiziario. L'unico modo per provare a rimanere a galla è appellarsi al telefono amico, alla voce della sensuale Chyi, che però si rifiuta di conoscerlo. Le sue fantasie, allora, si riverseranno su Shin, ragazza attillatissima che lavora nel betel sotto casa. Dopo The Missing, Lee Kang-Sheng scrive e dirige il suo secondo lungometraggio e non dimentica il sentiero tracciato da Tsai Ming-Liang, qui produttore e scenografo, cineasta con cui ha lavorato in numerosi film. Telefonate interminabili e digressioni viziate dai "fumi del fumo" raccontate in camera fissa, senso degli spazi e geometria delle inquadrature per un design filmico e rifrangente che lascia senza fiato, avvolti e misteriosamente affascinati da questa immorale e profondissima caduta, (autobiografica) autodistruzione di un uomo senza riferimenti, inebriato e contemporaneamente consumato da droga e sesso. Estremo, a tratti esilarante nella rappresentazione di coreografici amplessi, comunque difficilmente dimenticabile per alcuni momenti di alto lirismo: uno su tutti, la danza sospesa delle cinque ragazze in splendidi (e di facili) costumi.