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Billy Crudup in Hello Tomorrow!
In un "retrofuturo" ambientato negli Stati Uniti d'America degli anni Cinquanta, in cui i robot fanno parte della vita quotidiana e automobili prive di ruote corrono sospese sull'asfalto, seguiamo le peripezie personali e lavorative di Jack Billings (Billy Crudup, già premio Emmy con The Morning Show), venditore di lotti abitativi dotati di tutti i comfort e accessibili a tutte le tasche.
La particolarità? Le graziose villette con giardino sono ubicate nientemeno che sulla Luna. Le folle accorrono alle sue presentazioni con entusiasmo: chi non vorrebbe abbandonare la noiosa routine terrestre per vivere l'antico sogno di mettere piede sul candido e luminoso satellite? E a un prezzo conveniente, inoltre: la Luna non è più, ormai, soltanto un luogo per ricchi o un buen retiro per le celebrità: un comune cittadino potrebbe ora avere come nuovo vicino di casa una star del cinema, e anche questo fa gola a tanti.
Insieme a Jack, la cui famiglia (dice lui, con un pizzico di malinconia) già vive lassù nella colonia lunare denominata Brightside, la squadra di venditori è composta dall'energica e pragmatica Shirley (detta Shirl, interpretata da Haneefah Wood), l'incallito scommettitore Eddie (Hank Azaria) e l'instancabile Herb (Dewshane Williams), che presto diventerà padre di due gemelli cui vuole assicurare il miglior futuro possibile.
Tutto gira intorno al sogno americano nella sua accezione più classica, in cui la famiglia è il centro irrinunciabile e il desiderio di una vita tranquilla la giusta ricompensa dopo una vita di sacrifici. Ma qualche ombra, sin dai primi episodi, si allunga inesorabile: cosa si nasconde dietro l'inossidabile e affascinante sorriso di Jack, sempre rapido ed efficacissimo nel risolvere ogni problema?
Diciamolo subito: Hello Tomorrow! è una serie dal potenziale altissimo, capace (nelle premesse) di contenere moltitudini lontane tra loro quanto la distanza Terra-Luna: il genere ucronico, ma anche il dramedy e la fantascienza; un tema inossidabile e sempre valido come il rapporto padre-figlio; la creazione di un universo alternativo, vintage e futuristico al tempo stesso, con tantissime idee e curato nei dettagli.
Eppure - nonostante questi motivi, oppure proprio a causa loro - la serie non convince fino in fondo. Presi singolarmente, tutti gli elementi funzionano, malgrado qualche incongruità interna su cui si potrebbe serenamente soprassedere se la narrazione fosse più forte e tesa. Purtroppo questa magia non accade, e la storia tende a sfilacciarsi in più punti, perdendo quella coerenza fondamentale necessaria a rendere credibile un mondo "altro" dal nostro. Il tono scelto e proclamato da Apple, che finora ha tenuto sempre alta l'asticella delle sue produzioni, è il dramedy, ovvero la commistione tra dramma e commedia.
Un'idea vincente che rimane però sulla carta, soprattutto quando si tinge – o vorrebbe tingersi – di black humour. In una delle scene iniziali del pilot, per esempio, ci viene mostrata la quotidianità suburbana di robot che portano a spasso i cani, giardinieri automatizzati che curano il verde, mariti che salutano la moglie sull'uscio per recarsi al lavoro prendendo il volo con un razzo indossato a mo' di zainetto; persino il ragazzo dei giornali ha un sistema di lancio agganciato alla bicicletta, e le consegne dei pacchi sono effettuate di casa in casa da un furgoncino, guidato da un autista automatico che ha le fattezze di un uccello-cartone animato.
Gentilissimo ed educato, per evitare di investire un cagnolino l'automa fa retromarcia e colpisce violentemente una donna, lasciandola accasciata e priva di sensi – augurandole poi una buona giornata. Una scena destabilizzante, costruita su uno humour nero di cui però ci sono poche altre tracce all'interno della serie. Oltre al già citato rapporto padre-figlio, molte sono le tematiche affrontate di episodio in episodio, tra cui linee romance esplorate in numerose varianti e simpatici siparietti comici affidati per lo più ai comprimari. L'impressione è che le vicende fatichino a stare insieme, restando segregate in bolle poco comunicanti tra loro; la durata breve degli episodi - trenta minuti scarsi, tipico timing della commedia seriale - certamente non aiuta, e rende difficile empatizzare con i protagonisti, nonostante l'ottima performance di tutti gli attori. Billy Crudup dà vita a un venditore inarrestabile, costantemente sul pezzo, con una madre anziana, intraprendente e un po' impicciona da gestire e un passato che viene svelato a poco a poco, purtroppo in modo un po' confuso. Il suo Jack è fin da subito sospeso tra l'imprenditore in cui riporre cieca fiducia che vende contemporaneamente sogni e solide realtà e Lyle Lanley, l'impresario truffaldino protagonista del mitico episodio "Marge contro la monorotaia" dei Simpson.
L'elemento di più grande fascino resta la costruzione dell'universo alternativo, in cui il futuro è quello dell'immaginario degli anni di Truman ed Eisenhower, purgato però delle ombre dell'atomica e della guerra fredda (e delle sigarette: non vediamo mai un personaggio che fuma); un mondo rétro, tondeggiante, più meccanico che "digitale", dalle tinte pastello. Ma forte è anche il racconto di una comunità utopistica più equa, in cui le donne possono lavorare a livelli alti - anche se molte preferiscono il tradizionale ruolo da casalinga. Il razzismo, inoltre, non esiste, una scelta che accomuna Hello Tomorrow! alla saga di Star Trek, che nel 1966 pure univa il mito della nuova frontiera (qui la Luna, lì l'universo) a una società multietnica. Inevitabile trovare punti di contatto con Mad Men, ambientata soltanto dieci anni più tardi, nonché echi di quel Pleasantville che già a fine anni ’90 provava, timidamente e senza sbilanciarsi, a offrire alla platea mainstream (che magari non aveva mai sentito parlare di Velluto blu) una nuova prospettiva su quell'epoca eccessivamente miticizzata.