Ci sono estati che valgono una vita, più di tutte quelle che anticipano i grandi cambiamenti, linee di confine che sono zone d’ombra in pieno sole, quando i sentimenti sono così nascosti da apparire in piena vista. C’è già tutto nel folgorante incipit (che avrebbe fatto la gioia di Raffaele La Capria: pensiamo alle prime pagine di Ferito a morte): un’immersione nell’ignoto mare profondo, l’incontro tra colei che si crede predatrice e la presunta preda che potrebbe tramutarsi in scontro. E poi, sulla terraferma, l’ammazzare il tempo arrampicandosi tra le fronde, sui tralicci da dove osservare l’orizzonte e soprattutto il desiderio incarnato. La chiamano Senza Cuore, di lei si sa poco o quanto basta per dedicarle ogni pensiero e ogni gesto.

Parte da qui Heartless – Senza cuore, passato a Venezia 80 in Orizzonti, estensione o meglio esplorazione dell’omonimo cortometraggio che Nara Normande e Tião girarono nel 2014: la protagonista di allora, Eduarda Samara, è cresciuta, anagraficamente e professionalmente, e le sue esperienze entrano di petto nella scrittura, dando al film un retroterra di autenticità che costeggia quasi la pratica documentaristica.

Ambientato nel 1996 – e le canzoni definiscono un’epoca, da Please don’t go a Timidez – nel nord-est del Brasile, vive di immagini dirompenti che non si accontentato di essere decorative, paesaggi naturali o urbanistici che indicano e determinano divari sociali, collocando il racconto di formazione all’altezza dello spaccato politico e culturale. È un mondo a parte dentro un mondo che cambia, quello di Heartless, un film terrigno e sensuale, che abbraccia la complessità delle emozioni lambendo gli istinti dei corpi in fiamme, guardando esplicitamente al cinema di Lucrecia Martel per la politica del desiderio, culturalmente a quello di Kléber Mendonça Filho per la riflessione sulle classi, trasversalmente a quello di Alice Rohrwacher per il dialogo tra visibile e invisibile.

Sulle note della musica popolare brasiliana con le canzoni degli Os Tincoãs e Maria Bethânia, un film affascinante, fatto di attrazioni fatali (gli sguardi che si incrociano in discoteca) e desideri esplosivi (il porno come rituale collettivo, ma anche la fila per “scoprire” il sesso), cicatrici che non si rimarginano (un petto sfregiato che potrebbe essere quello di un’eroina) e cuori che continuano a battere nelle carcasse delle bestie spiaggiate (una balena che sembra spalancare porte oniriche), fotogrammi che rallentano rivelando l’anatomia dei gesti e primi piani che sono dichiarazioni d’amore.