PHOTO
Hasta el cielo
Grazie all’imprevisto successo di La casa di carta, Netflix ha investito cospicue somme nel cinema di genere spagnolo.
Hasta el cielo, presentato alla Festa del cinema di Roma nella sezione Riflessi, non sarà distribuito in esclusiva dalla grande N, ma vede la partecipazione produttiva del colosso streaming e in un certo senso risente del suo influsso, oltre che avere al suo interno la partecipazioni di nomi legato al marchio, come il regista Daniel Calparsoro (L’avvertimento, Il silenzio della città bianca).
Qui racconta un’esemplare storia di periferia, madrilena per la precisione, in cui un ragazzo per amore della ricchezza e di una ragazza comincia a rapinare gioielliere per arrivare a tentare la scalata del potere criminale. Non è una saga alla Scarface o Gomorra quella scritta da Jorge Guerricaechevarría, ma più una versione di La terra dell’abbastanza in stile film di rapina, dal vago sapore di Michael Mann (Strade violente, soprattutto) con azioni, scontri con la polizia, intrecci personali e romantici, retrogusto tragico sempre in agguato.
Hasta el cieloNiente di nuovo nella storia, nel tratteggio sociale dei personaggi, nella descrizione di un ascensore sociale corrotto e che pure infonde sogni tossici a chi abita i piani bassi e fin dall’inizio, Calparsoro non rinuncia a stereotipi e luoghi comuni machisti che da sempre accompagnano la narrazione di certi ambienti e certe dinamiche; per fortuna c’è energia nella messinscena, c’è ritmo nella regia e nelle sequenze principali del racconto e gli attori hanno facce e vitalità adatte ai ruoli.
Peccato che, come spesso nei prodotti di questo tipo costretti ad arrivare a due ore di durata, le debolezze di scrittura abbiano la meglio sull’energia, le approssimazioni e i continui rilanci del meccanismo, con tre finali consecutivi, appesantiscano la tenuta narrativa, così che mentre tutti corrono sulle loro auto, il regista perda il grip, la presa sul film e sullo spettatore. Che arriva alla fine estenuato anziché emozionato.