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Harry Potter e i Doni della Morte: Parte 2
Parla chiaro. La trasparenza è sinonimo di efficacia per un blockbuster. Diffidate di codicilli, indovinelli, enigmi paratattici creati ad arte (come quelli sfornati dal Gran Maestro Albus Silente). Dietro il linguaggio per adepti c'è una comunità linguistica porosa e democratica. Horcrux, Bacchette di Sambuco, Pietre Filosofali, Doni della Morte. Nomi suggestivi, senza dubbio. Ma l'ambiguità, quella vera, è orrore per l'industria culturale. Un'arrampicata in alta quota per chi soffre di vertigini.
In Harry Potter - la seconda parte dell'ultimo dei sette episodi della saga è lapalissiana - il simbolo viene preso alla lettera, il personaggio è un archetipo col fondotinta, la drammaturgia un'applicazione del teorema funzionale di Propp. Non a caso il nocciolo della vicenda è elementare quanto un modello attanziale basic: la ricerca dell'eroe. La caccia riguarda gli Horcrux, oggetti in cui il Signore Oscuro ha nascosto la sua anima partitiva e ricomponibile. Questa missione subisce un'accelerazione nel più action, convulso, spettacolare episodio della saga. Probabilmente anche il meno interessante dal punto di vista cinematografico.
In 2 ore e 10 minuti in modalità 2D/3D - con la stereoscopia utile solo a far lievitare il prezzo del biglietto (fino al 50%!) - assistiamo alle prove sostenute dal protagonista e dai suoi aiutanti (Ron ed Hermione) che si susseguono a un livello crescente di difficoltà. Come novelli Mario Bros. , i tre se la vedranno prima con un drago sputa-fiamme, poi con gli orchi della foresta, quindi con il serpente a sonagli, infine con Tu-Sai-Chi, il satanasso Voldemort, dispensatore di giorni funesti, di ira e di morte. Tra il drago e l'orco c'è anche la fatina a soccorrere il maghetto al momento del bisogno. Lo spazio stesso è paradigmatico: dal castello alla foresta, dalle acque torbide all'aldilà. Con disinvoltura il piano figurativo intreccia fiaba, fantasy e cristianesimo. Non solo il serpente è degna controfigura del Male, ma il Male stesso assume la valenza di un peccato da espiare tramite il sacrificio.
Il vero colpo di scena per chi fosse a digiuno dei fatti è la scoperta che l'ultimo Horcrux è dentro Harry Potter. Che per mondare l'essere dalla colpa quest'ometto coraggioso e apparentemente insignificante dovrà sacrificare se stesso. Che il salvatore del “genere mago” potrà risorgere, dopo aver incontrato nell'interzona edenica un vecchio barbuto che sembra Dio ma è solo l'anziano Silente, il defunto e saggio Preside di Hogwarts.
Come un addensante simbolico l'ultimo Harry Potter tira le fila di un ricco sincretismo culturale. Riporta la narrazione al suo cordone ombelicale, primitivo. Insegue Il Signore degli Anelli e La Storia Infinita ma si ritrova al di qua di entrambi, a proteggere i confini della propria aureas mediocritas che ne ha definito da sempre ambizioni ed effetti. Harry Potter non è mai stato completamente teen-movie o fantasy o film gotico o altro. E' stato tutto questo senza mai eccedere ed eccellere in nessuno dei suddetti generi. Una media statistica di vari edifici narrativi. Non un luogo specifico, ma la mappa dei luoghi segnati dalla tradizione occidentale. La dimostrazione che per conquistare questo decennio non servivano idee innovative. Bastava riciclare le vecchie e spacciarle per nuove.