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Happy Family
Riduzione di Woody Allen e Wes Anderson (I Tenenbaum, soprattutto nelle tappezzerie…), I soliti sospetti e Charlie Kaufman, ecco il divertissement metacinematografico di Gabriele Salvatores, che prende dal teatro (dell'Elfo, da cui viene lo spettacolo e la co-sceneggiatura di Alessandro Genovesi) e ci porta in una Milano bifamiliare, partorita dalla “beautiful mind” dell'aspirante sceneggiatore Fabio De Luigi: Happy Family di - quasi tutti - happy few meneghini (fichetti è un valido sinonimo), personaggi in cerca non di un autore, ma di una storia che vada avanti. Divisa a immagine e somiglianza della vita in “Personaggi e interpreti”, “Confidenze” e "The Family", ovvero l'approdo nell'ipertesto sociale, familiare è un occorrenza, una commedia non per caso, ma del caso, che invita a lasciarsi andare, aprendo a inedite amicizie (l'avvocato Fabrizio Bentivoglio e il precario Diego Abatantuono, spassosi 20 anni dopo Turnè), flirt e coming out, fino all'elaborazione che non segue, ma precede il lutto. Il tutto col sorriso sulle labbra, disimpegno - qui e là invertito da accenni edificanti... – e concessioni al minimalismo: gustoso, fresco, futile, un piccolo film che respira (di) grande.