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Richard Gere e Hachiko
Il professore Richard Gere torna da un viaggio. In stazione si imbatte in un cagnino di razza akita, e lo porta a casa: la moglie lo battezza "ospite provvisorio", Gere, complice un collega, lo ribattezza Hachi, ovvero Otto in giapponese. Tra i due è amore a prima vista: reciproco a tal punto che Gere si mette a quattro zampe con la palla in bocca.
L'affair procede a gonfie vele, fino a quando l'uomo non ritorna dalla moglie: vino, bagno e sesso, un tradimento in piena regola. Roso dal senso di colpa, Gere cade stecchito. La moglie cambia città, Hachi no, e aspetta Gere davanti alla stazione: ogni giorno, per anni e anni.
Tratto dalla vera storia del professor Hidesamuro Uyeno e del suo fedelissimo compagno a quattro zampe (oggi immortalato con bronzea statua di fronte alla stazione Shibuya) trasferita da Tokyo in America, Hachiko non rappresenta inequivocabilmente il punto infimo nella filmografia di Lasse Hallstrom, ma se la gioca. Il cane, anzi i cani, pare nemmeno troppo addestrati, sono bravi, gli attori ce la mettono tutta per mantenere una qualche differenzazione, ma il film naufraga comunque: costruito su un soggetto degno di un corto, si rivolta nella noia e nell'atonia, rischiando che i rari abbai di Hachi vengano sommersi dai mugolii rassegnati del pubblico.
Riuscendo nell'impresa ardita di rivalutare l'analogo Io & Marley, Hachiko, inserito nella sezione Alice nella città e in sala con Lucky Red a fine anno, conferma che il triangolo uomo-animale-cinema è sovente lacrimevole, quasi sempre infido, nell'occasione stucchevole.