Ci sono tanti riflessi, tanti incroci, tante corrispondenze nella filmografia di Thomas Lilti, che a cinque anni da Il primo anno torna con Guida pratica per insegnanti (che arriva nelle sale italiane a quasi due anni dall’anteprima al Festival di San Sebastián). Sarà che, per lui, fare film è una questione seria, una vocazione precoce, un approdo tardivo: figlio di un medico, ha dapprima seguito le orme paterne, convinto che quello del cinema non fosse un mestiere serio (titolo originale di Guida pratica per insegnanti), quindi tirocinante in ospedale e però sempre con il pallino della regia.

Abbandonato il camice bianco, dopo un lungo d’esordio apprezzato quanto ignorato (Les Yeux bandés, 2007), ha trovato la quadra con un’opera seconda che è una seconda opera prima, non fosse altro per il coinvolgimento emotivo, la consapevolezza del tema, il riverbero biografico. Ippocrate, uscito in Italia solo in home video, era il coming of age di Benjamin (l’allora ventenne Vincent Lacoste), un medico tirocinante che muove i primi passi nel reparto diretto dal padre. Fu, poi, la volta di Il medico di campagna, incentrato sul navigato Jean-Pierre (il nemmeno sessantenne François Cluzet), seguito da Il primo anno, che racconta il percorso universitario di Benjamin Barois (ancora Lacoste), figlio di un medico e di una docente, iscrittosi alla complicata facoltà di Medicina dove diventa amico di un fuoricorso (William Lebghil).

La trilogia è evidente – e va considerata anche Hippocrate, la serie in tre stagioni che sviluppa il film, con un cast diverso – con il suo sistema di assonanze onomastiche, professionali, esistenziali all’interno di una visione precisa nella quale confluiscono il tema della crescita, l’avventura del bivio, la conoscenza del settore, la capacità di parlare dell’intera società, un tono sospeso tra umorismo e malinconia. Con Guida pratica per insegnanti, Lilti esce dalla sanità e torna all’istruzione (secondaria) e sembra espandere quell’universo senza restarvi chiuso, anzi aprendosi all’osservazione e all’interpretazione di nuovi territori e sensibilità inedite.

Guida pratica per insegnanti
Guida pratica per insegnanti

Guida pratica per insegnanti

(Denis Manin/Les Films du Parc)

C’è un altro Benjamin (il cognome ha trovato un’altra erre: Barrois), che è sempre Lacoste (il più completo della sua generazione, un tenero e sfrontato corpo da fumetto sempre in bilico tra spaesamento e malizia), un giovane dottorando che, non essendo riuscito a ottenere una borsa di studio, accetta un posto come insegnante di matematica, mestiere che non ha mai fatto ma di cui ha bisogno per campare.

Il primo sguardo di Lilti è sull’istituzione, collocata in una banlieue parigina dove tutti si muovono con i mezzi pubblici o auto che hanno macinato troppi chilometri: alla denuncia programmatica o all’approccio paternalista si preferisce l’attenzione al quotidiano, una rappresentazione dell’adolescenza che non ammicca ma attesta.

Il focus, d’altronde, è sul corpo docente: Benjamin trova una sorta di mentore in Pierre (senza Jean, ma sempre Cluzet), un maturo e consumato insegnante di francese che ha problemi a comunicare con il figlio, un nuovo amico nel collega di inglese (Lebghil, ancora in un ruolo simpaticamente “divergente” tra cannette e disordini vari) e la possibilità di un flirt con una professoressa di matematica in crisi professionale e familiare (Adèle Exarchopoulos, solita presenza folgorante per cui vale la pena immaginare un amore). Ma ci sono anche un’insegnante di biologia sull’orlo del burnout e una nuova assunta che cerca di non cedere alla tentazione di scappare con il collega di educazione fisica.

Non bastassero i corsi e ricorsi nell’onomastica, nel casting e nei ruoli, Guida pratica per insegnanti rivela la capacità del regista nel costruire una profonda riflessione sul mondo del lavoro, sui contraccolpi tra professione e privato, sull’importanza sociale e culturale della scuola e di chi sta dietro la cattedra. E ci riesce grazie a uno sguardo umanista che esplora l’universo emotivo degli insegnanti (impotenza e fallimento, ma anche passione e coscienza), mette in primo piano il bisogno di una catena solidale e tiene da parte la sociologia d’accatto. Sembra fare poco, ma come lo fa bene.