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I guardiani della galassia
Una misteriosa sfera infinitamente distruttiva fa gola a uno squilibrato, Ronan (Lee Pace), che vorrebbe utilizzarla per polverizzare l'odiato pianeta Xandar, una specie di Elysium blomkampiano dalle architetture avveniristiche, le strade pulite, gli alberelli e le fontane tipo plastico. Non è l'unico a volerla: c'è anche il suo mentore, il criminale galattico Thanos (Josh Brolin) e un traffichino dalla faccia blu e una dentatura che richiederebbe l'intervento urgente di un odontotecnico (Michael Rooker). Ma la sfera - paragonata buffamente alla "Barca dell'Alleanza" o al "Falco Maltese" - finisce nelle mani sbagliate, quelle di Quill (Chris Pratt), un ladruncolo sciupafemmine inseparabile dal suo mangianastri e patito di musica anni '70-'80 (da Moonage Daydream di Bowie a Ain't No Moutain High Enough di Marvin Gaye & Tammi Terrell). Per il terrestre è una vera e propria patata bollente: impossibile disfarsene, meglio tentare la sorte con l'aiuto di un'improbabile Armata Brancaleone, formata da un'assassina dalla pelle verde (Zoe Saldana), un energumeno negato per le metafore (Dave Bautista), un procione parlante (Bradley Cooper) e un albero ambulante (Vin Diesel) che sa dire solo Io sono Groot.
Eccoli i Guardiani della galassia, che la Marvel Studios ha tirato fuori dai suoi archivi - il comic si perde ormai nella notte dei tempi: 1969 - per rivitalizzare la propria cine-offerta e sperimentare nuove possibili alternative alla specie in via d'estinzione dei supereoi classici.
Con i Guardiani si punta sulla panchina, eroi poco super e molto per caso, scherzi della natura e frankeinstein a pelo lungo, che per quid umano stracciano però i loro più illustri colleghi (gli Iron Man, i Thor, i Captain America). Operazione che sprizza simpatia da ogni poro digitale e strato di make-up, merito di un quintetto di attori perfettamente a loro agio (in ossequio al citazionismo mai gratuito del film potremmo ribattezzarli "Quella sporca cinquina" o "I predatori della sfera perduta") e di una scrittura ricca di verve, sensibilità e nostalgia canaglia, firmata James Gunn, anche regista.
Proveniente dalla Troma production, specializzata in fantascienza di serie B, Gunn porta nell'alveo di un'operazione mainstream amore per la materia, animo infantile e gioia, accostandosi ai maestri e ai discepoli del filone come Spielberg e J.J. Abrams.
Tranquilli, il refrain Marvel viene mantenuto, ma sovrascritto da tutta una serie di tracce narrative spurie, che pescano dal repertorio del western, della commedia, dell'avventura e del fantastico (per non dire dei riferimenti a Il mistero del falco e Footloose).
Gunn alimenta e rimodella così l'immaginario di continuo, con una libertà e un'armonia di insieme che è raro trovare in un blockbuster. E chiude, forse definitivamente, l'era dark del cinefumetto (post 11 settembre) per inaugurarne una nuova e antica. Una rivoluzione a colpi di restauro.