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Gli zombie non muoiono mai, soprattutto al cinema. Questa volta a riportarli in vita è Luna Gualano con il suo zombie movie politico Go home: una metafora horror per descrivere quello che vivono quotidianamente gli immigrati.
La trama è questa: a seguito di una manifestazione di estrema destra si scatena un'apocalisse zombie e l'unico posto sicuro in cui stare diventa il centro di accoglienza dove si trovano diversi immigrati. Nel mezzo di questo caos un ragazzo di estrema destra (Antonio Bannò) riesce a mettersi al riparo all'interno del centro mentendo sulla sua identità.
Girato con pochi mezzi tutto all'interno dei centri sociali romani Strike e Intifada, questo film utilizza quindi i morti viventi come mero pretesto per affrontare un tema attuale e controverso come quello dell'immigrazione.
L'operazione della Gualano alla seconda regia dopo Psychomentary è dunque molto particolare. Anche se nel lontano 1968 il capostipite dello zombie movie George A. Romero con La notte dei morti viventi già criticava la società dell'epoca e il fenomeno dell'omologazione.
Si può dire quindi che così come The Walking Dead e Resident Evil anche la Gualano è in qualche modo figlia, anzi sarebbe più giusto dire nipote, di un autore che ha consacrato la nascita di questo sottogenere horror.
Go home però non convince fino in fondo. Non solo questa ennesima declinazione del living dead appare un po' troppo forzata, ma tutta la parte centrale della storia la guardi solo nell'attesa di una lotta a colpi di cranio che possa fermare quest'invasione. Per fortuna il finale a sorpresa e la bella colonna sonora composta dalle musiche prettamente romane de Il Muro del canto e dal gruppo reggae sardo Train to Roots lo salvano in parte.