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1939, Pirenei Sud-orientali. Lungo un sentiero accidentato, tra boscaglie e strapiombi, miliziani antifascisti in fuga dall’esercito franchista cercano scampo verso la Francia.
L’anno successivo, un altro gruppo di fuggiaschi percorre, in direzione opposta, il medesimo sentiero. Questi uomini sono in fuga dalla Francia occupata e collaborazionista: si tratta di antifascisti, intellettuali ed ebrei. Tra questi “indesiderati” è anche il grande filosofo e scrittore tedesco Walter Benjamin.
Tra docufiction e rievocazione d’autore, complice una splendida fotografia in bianco e nero, ricca di chiaroscuri, il regista Fabrizio Ferraro rilegge la storia della “Route Lister” alla luce di una sensibilità che vorrebbe attualizzare il passato in un volgere di anni, il nostro, in cui il tema dell’esilio degli intellettuali in fuga dai regimi, di frontiere e di migranti, suscita un aspro dibattito politico.
L’operazione è a tratti affascinante, soprattutto da un punto di vista visivo, ma soffre quando l’aspetto intellettualistico e il formalismo si sovrappongono a una materia scottante di dolore, tanto in riferimento al presente quanto al passato. Il dolore degli esuli, dei corpi, in esilio.