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Nel cinema italiano il modo di affrontare la malattia sta cambiando, si sta adeguando a modelli principalmente d’oltreoceano. Alice Filippi quest’anno ha diretto Sul più bello, commedia per ragazzi che segue le orme di un capostipite come Love Story di Arthur Hiller, del 1970, da cui è scaturito un filone consolidato e sempre redditizio. Nel cult con Ryan O’Neal si lottava contro la leucemia, in Sul più bello il male da sconfiggere con la forza della passione è la fibrosi cistica. Alla base c’è la tragedia romantica, l’impossibilità di restare insieme per sempre.
Un'altra tendenza è quella di trasformare il malato in un supereroe. È il caso di Copperman di Eros Puglielli del 2019, in cui Luca Argentero interpreta un paladino autistico al servizio della comunità. Adesso arriva Glassboy di Samuele Rossi. Qui il protagonista ha undici anni, si chiama Pino, ed è affetto da emofilia. Il suo corpo è fragile, ogni scossone può metterlo in pericolo, perde i sensi e rischia costantemente un’emorragia interna. Vive confinato nella sua villa, e come un piccolo Leopardi osserva il mondo dalla finestra. Un giorno esce, fa amicizia con i ragazzi del quartiere, e cerca di costruirsi un’esistenza normale.
Il film è liberamente tratto da Il bambino di vetro di Fabrizio Silei, un classico per l’infanzia edito da Einaudi. L’immagine ritratta sulla copertina del libro, un drago rosso con sulla schiena un ragazzino con la spada, sullo stile di un giovane “Arcangelo Michele”, nel 2011 aveva avuto molto successo. Si percepiva subito la sfida, la battaglia, poi approfondita nella struttura a diario del racconto. In Glassboy si perde quel senso di introspezione, e ci si spinge piuttosto sui toni della favola. Sembra di essere in una realtà parallela, in cui le luci sono forti e i colori a volte fin troppo accesi.
È un peccato che alcuni personaggi siano poco più che macchiette. La necessità di restare fedeli al progetto originale, rivolto ai più piccoli, destabilizza l’operazione. E quando si strizza l’occhio agli adulti, le pur lodevoli intenzioni arrivano fuori tempo massimo. Vengono omaggiati E.T. – L’extraterrestre, I Goonies di Richard Donner, l’immaginario anni Ottanta figlio di Spielberg ormai tornato di moda a partire dalla serie Stranger Things.
Glassboy per certi versi si avvicina a Copperman, con la sua volontà di portare l’incredibile nel grigiore del quotidiano. Vorrebbe essere un’iniezione di speranza. La parabola del piccolo “recluso” che finalmente trova la sua strada riesce solo a metà. Si infrange sui buoni sentimenti, sulla scarsa incisività di alcuni passaggi narrativi. E anche lo scontro generazionale resta sullo sfondo, non riesce a imporsi agli occhi dello spettatore, come invece capita, per rimanere nel 2020, in Le streghe di Robert Zemeckis, tratto dalla favola nera di Roald Dahl.
Forse sono troppe le direzioni che vorrebbe prendere Glassboy, che ha comunque il pregio di sensibilizzare sull’emofilia. Ma gli manca la leggerezza di Cosa sarà, dove il regista Francesco Bruni con le regole della commedia si interroga sul tumore del sangue, la mielodisplasia, da cui è guarito nel 2018. Rappresentazioni diverse, che potevano ugualmente essere efficaci.