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Giardini in autunno
Ministro costretto a lasciare il potere trova la felicità, ovvero beve, suona e riscopre i luoghi cari dell'infanzia. I giardini fioriscono in autunno, dice Otar Iosseliani, e verrebbe da credergli. Quasi: il regista georgiano - trapiantato in Francia - non sa dove collocare questo locus amoenus, sceglie il bozzetto naif, ma gli trema la camera, non osa e rimane a metà strada. Ed è grave per un film che, esulando dal realismo, dovrebbe calcare un palcoscenico benigno ma non buonista, utopico ma non inverosimile. Invece no, Iosseliani – sceneggiatore, regista e montatore - sceglie un signor attor nessuno, Séverin Blanchet, per impersonare l'ex-ministro Vincent, viveur e tombeur, traveste da donna il mostro sacro Michel Piccoli e si perde lui stesso tra vino, amanti a go-go e diffuso perdonismo. Le musiche sono di Franz Schubert, ma pare Scurdiamoce o' passato, il passaggio di potere, che Iosseliani vorrebbe demistificare, diviene assenza di Potere. Quello vero, quello maiuscolo, è purtroppo un'altra cosa, non è redimibile come Vincent, non è caricaturale come il suo successore Théodière: Giardini in autunno lo tiene colpevolmente nel fuoricampo. Non resta che farci affascinare, invero poco, molto poco, da un altro mondo possibile, nemmeno ottimale: immigrati ridotti a cartine tornasole del politically correct e maschilismo imperante. Almeno al cinema, le mezze stagioni non dovrebbero esistere.