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Maurizio Bini in GEN_
Volessimo limitarci all’ambito lessicale, di quel normativo che fissa le regole e spesso anche i limiti, gen è l’abbreviazione che troviamo nei vocabolari e nelle enciclopedie per riferirci al genere. Ma bisogna guardare oltre il trattino basso del titolo, nel suffisso che annuncia altre parole che contengono mondi e, in un modo o nell’altro, entrano in GEN_, clamoroso documentario di Gianluca Matarrese presentato all’ultimo Sundance Film Festival (la coproduzione coinvolge anche Francia e Svizzera, con Dominique Barneaud, Donatella Palermo e Alexandre Iordachescu).
E così ecco che la lista di termini con il prefisso gen- svela – nei titoli di testa che squadernano sconfini – il glossario medico (genetica, geni, genotipo, genoma), il pedigree sanitario (genitali, genere), la questione sociale (genealogia, generazione, genitori, genitrice), il diaframma politico (gender, genocidio), l’orizzonte emotivo (gente, gentile, genesi, genetliaco) del film. Che trova nel quotidiano del dottor Maurizio Bini, responsabile della struttura Diagnosi e Terapia della Sterilità e Crioconservazione dell’ospedale Niguarda di Milano, l’occasione per inquadrare il privilegio – evidentemente non economico – di lavorare nel pubblico, di coltivare il sempre più raro esercizio dell’ascolto, di mettersi accanto ai percorsi di coloro messi ai margini dall’attuale maggioranza di governo.


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È lo stesso Bini a informarci del metodo operativo e, di riflesso, a indicarci una lente per interpretare ciò che vediamo. C’è un piano pratico, anzi esecutivo, che rivendica e ricorda il ruolo politico e la dimensione etica di un mestiere che incide sulle vite e quindi sulla società: “Lei ha avuto tre aborti – dice Bini a una paziente – ma da gennaio la legge italiana fissa a 46 anni il limite per la procedura (la procreazione medicalmente assistita, ndr). Noi ce ne freghiamo: i medici non sono dei legalisti, certe volte devono decidere su cosa è giusto e cosa è legale e in questo caso è ingiusto. Ci saranno conseguenze? Me le assumo io”.
E poi c’è un piano più teorico, che si muove tra metafore e aforismi, passando da somiglianze impreviste (“I funghi sono come noi, devono incrociare una spora di un sesso diverso per fare figli”) a luoghi comuni da sovvertire (“Pecora nera? No, mosca bianca!” a un ragazzo impegnato in una transizione di genere) passando per piccole lezioni su grandi questioni (“Non stappiamo lo champagne al test di gravidanza, la felicità deve essere uguale alle dimensioni del bambino: deve andare adagio” ).
E ce n’è un altro ancora, meno esposto ma che attraversa tutto il film, e che testimonia l’ineluttabile riflesso militante del lavoro: nella routine delle visite (che, come spiega lui stesso, in quel determinato settore è meno presente rispetto ad altre specializzazioni) e dei matching (a chi assegnare cosa in base ai fenotipi), Bini trova anche il tempo di mettersi al pc e contestare una decisione del governo (“Perché ospitiamo gli embrioni ucraini e non quelli di Gaza? Il rischio è lo stesso. Nei paesi nordici lo fanno per una questione pratica, noi perché si pensa che l’embrione sia già una vita: ma se lo fai per evitare un genocidio, allora devi usarlo anche per la nazione che ti è meno simpatica”).


GEN_
Scritto da Matarrese e Donatella Della Ratta, GEN_ è un magnifico trattato contro la pornografia dei sentimenti e il vizio di giudicare il prossimo, esaltato da un approccio dalla vocazione naturalmente umanista: se del dottore vediamo sempre il volto autorevole e rassicurante e sentiamo sempre la voce nitida e gioviale (negli esterni diventa un corpo in movimento, una figura che contempla il paesaggio, un paio di occhi nello specchietto dell’auto), è nella rappresentazione dei pazienti che Matarrese traccia la linea, concentrandosi sulle mani che non danno pace ai colli, alle voci che mutano per effetto delle terapie, alle nuche sfuggono i primi piani dei volti.
Sono pezzi di realtà per catturare la complessità di un mondo che non può ridursi al sistema binario (nel parterre ci sono persone trans così come coppie etero infertili e l’anagrafe si rivela un ostacolo spesso più ostile della riaffermazione), per restituire anche a livello sociologico le contraddizioni e i paradossi di una specificità locale per raccontare al contempo qualcosa che riguarda altre democrazie occidentali.
Ne viene fuori una ricca, sorprendente, appassionante commedia umana, la cronaca di quel che accade in uno spazio aperto dove si trasformano vite, si coltiva il desiderio di realizzare quel sogno che ti salva. E che, infine, rivela anche un lato addirittura struggente quando capiamo che il dottor Bini si sta preparando a cedere il testimone a una nuova generazione: il futuro come promessa, la speranza di una rigenerazione.