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Henri Brogan (Will Smith) è il migliore di tutti a sparare. Ha ucciso settandue volte, ma ora vuole andare in pensione. Stanco, destabilizzato e scopertosi ad evitare specchi, il sicario numero uno ha sempre più dubbi, paure e rimorsi che lo rendono umano: dunque perfettibile.
Per supplire a questo i suoi superiori hanno creato un clone del killer: una versione ringiovanita dell’assassino perfetto (personaggio in digitale e animato in motion capture).
Dopo I segreti di Brokeback Mountain e Vita da Pi, il regista Ang Lee vira con Gemini Man verso un action iperrealistico che vede protagonista Will Smith e il suo doppio. Un Will Smith vs Will Smith, che spazia dalla Colombia a Budapest, dentro un film che prova a mettere in campo grandi topoi cinematografici, tanto cari ad Hitchcock, come quelli appunto del doppio e dello specchio.
Ma non solo, c’è anche la scienza e la genetica. Di certo però non è la sceneggiatura a fare da traino. Piuttosto lo spettatore viene sedotto dalla magia di questa nuova tecnologia (il film è stato girato in HFR 3D+ a 120 frame per secondo, come il precedente Billy Lynn). E dalla sua estetica.
Come un soldato senza dubbi non ha fascino perché privo della sua umanità, allo stesso modo questo film perde il suo appeal proprio nell’eccessivo puntare su una resa visiva super immersiva alla quale fa da contraltare una carenza di dialoghi e contenuti evidente. Senza sentimenti un uomo non è un uomo, senza storia (e solo con tanta tecnologia) un film non è un film degno di nota. Semmai può essere un buon videogioco.