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Gangster Squad
Dimenticate De Palma (Gli Intoccabili), Scorsese (Quei bravi ragazzi) e Curtis Hanson (L.A.Confidential).
Gangster Squad gira a largo dai numi tutelari del genere. Non sappiamo se per un eccesso di prudenza o per un peccato di vanità, in ogni caso il film di Ruben Fleischer non somiglia a nessuno dei grandi gangster-movie del passato, azzerando ogni componente psicologica, qualunque dimensione sociale, qualsiasi sottofondo romantico, che avevano informato negli anni uno dei filoni hollywoodiani più floridi.
Ma Hollywood c'è, incombe, è l'insegna a fari accesi sulla vetta della città, il faro dell'imbroglio che luccica e ammonisce, segnaletica per il pubblico che recita: attenzione a quanto sta avvenendo alle pendici della “collina”, perché è finto. Pure se lo script di Will Beall è ispirato agli storici reportage di Paul Liberman sul Los Angeles Times, e sul vero tentativo (riuscito) di una squadra speciale del LAPD di mettere fine all'ascesa criminale di Michey Cohen alla fine degli anni ‘40.
Tutto però è imbevuto di fiction, dall'abbagliante décor all'esagerata violenza, dal primitivismo narrativo alla pedissequa applicazione degli stereotipi, tanto per sprecare il più grande assortimento di star di recente memoria: a Sean Penn (che modificherà espressione solo quando gli cambieranno i connotati a furia di cazzotti) e Ryan Gosling, a Josh Brolin ed Emma Stone mancano solo i “balloon” per diventare fumetto a tutti gli effetti. Suonerebbe come una classica cialtronata postmoderna, ma manca la dovuta consapevolezza.
Più irrisolto che irridente, Gangster Squad è invece una parodia senza humour, un mix tra I magnifici sette e Shoot'em Up, che libera le pulsioni rozzamente hobbesiane del genere senza troppo preoccuparsi delle conseguenze. Sotto le mentite spoglie di un elegante noir d'epoca, si cela un cine-popcorn mordi e fuggi, dalla giustizia medievale e la morale da bifolchi.
Discutibilmente divertente, come può esserlo un romanzo di Ellroy rimaneggiato da Borghezio.