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La realtà si specchia nel grande schermo. Sarebbe bello poter sostenere che il cinema influenza il contemporaneo, ma ormai quei tempi sono passati. Oggi si fa testimone attento, osservatore appassionato. Dalla pandemia sorge un nuovo genere, ben codificato: la cronaca del lockdown. L’esempio più famoso è stato forse la serie di cortometraggi Homemade, disponibile su Netflix, dove a spiccare erano la creatività e l’ingegno di Larraín e Sorrentino. In generale, le regole sono rigide: un budget ridotto, prodotti amatoriali, il pensiero della gente al centro, i bambini che si annoiano, la voce fuoricampo che la fa da padrona.
Fuori era primavera – Viaggio nell’Italia del lockdown di Gabriele Salvatores si rivela invece una piacevole sorpresa. Evita i luoghi comuni, e prova a essere una testimonianza personale del passato (o del presente?) più vicino a noi. Il regista ha chiesto agli italiani di mandargli i loro video, le loro esperienze, durante i mesi in cui non si poteva uscire di casa. Nasce un mosaico variegato, intimista, pieno di umanità.
L’impostazione è quella di Italy in a Day – Un giorno da italiani del 2014, sempre di Salvatores. Curiosamente anche la durata coincide: 75 minuti. Sei anni fa erano arrivati più di 44mila contributi, e al lavoro c’era una squadra di decine di selezionatori, per un totale di 2200 ore di immagini. La parola alle persone che hanno voglia di aprirsi, di far parte di un racconto corale. È come se Fuori era primavera – Viaggio nell’Italia del lockdown fosse una specie di sequel.
A cambiare sono le contingenze, l’affresco storico, ma restano le speranze, la disperazione, in un film tenero, accorato, a tratti commovente. Il fattorino che si aggira per una Milano deserta per venti euro a sera, l’impossibilità di abbracciare i propri cari, la distanza imposta, gli amori divisi, il tetto come unico luogo di libertà… A colpire di più sono gli sguardi degli infermieri in corsia, le sequenze dei malati in vita solo grazie ai respiratori, con un casco in testa che si sostituisce ai polmoni al collasso. Bisognerebbe farlo vedere ai negazionisti, a chi si assembra nelle piazze senza mascherina, a chi grida al complotto. Intanto i figli piangono i padri, scrivono lettere a un virus che li ha privati degli affetti.
Salvatores si mette da parte, si fa cantore di un’umanità allo stremo, alternando il sorriso alla tragedia. Oltre a mostrare quello che succede tra le mura di casa, esce anche all’aperto. Si avventura per le strade deserte, si spinge fino a mille chilometri dal Polo Nord, dove un nostro connazionale si districa tra le sue ricerche, gli orsi e il ghiaccio. Fuori era primavera – Viaggio nell’Italia del lockdown colpisce nella sua semplicità, e si propone come un monito per il futuro. Distribuito in sala come evento speciale solo il 26 novembre.