Tutti i grandi interpreti vorrebbero chiudere la carriera con un ruolo larger than life, il canto del cigno o addirittura la morte in scena. Quelli inglesi fanno eccezione: a teatro, sì, lì vogliono che il finale sia memorabile, ma al cinema, insomma, la faccenda è diversa. Per loro recitare è un mestiere da vivere senza retorica e la pensione arriva così, all’improvviso, con l’età che avanza e gli acciacchi che si accumulano. C’è chi resiste fino alla fine, con stoicismo e tenacia, e c’è chi decide di ritirarsi serenamente, evitando troppe cerimonie.

In Fuga in Normandia abbiamo entrambi i casi. C’è Michael Caine, 91 anni e un’immensa popolarità rinnovata anche grazie a Christopher Nolan, ha chiuso bottega dopo questo film, in cui interpreta un veterano della Seconda Guerra Mondiale che scappa dalla casa di riposo per partecipare alle commemorazioni del 70° anniversario del D-Day in Francia. E c’è Glenda Jackson, morta a 87 anni qualche mese dopo la fine delle riprese, che era tornata a recitare da pochissimo dopo essersi ritirata nel 1992 per dedicarsi alla politica. Caine e Jackson, entrambi 2 Oscar in bacheca, sono ovviamente spettacolari: l’uno con lo sguardo liquido e il sorriso malinconico di chi sa quanti sono i domani passati, abitando lo spazio con la leggerezza di chi non deve chiedere il permesso per occuparci il cuore; e l’altra consapevole di essere stata la più grande della sua generazione, talmente sfrontata da non nascondere un dente mancante e capace di trasmettere il tumulto anche stando ferma in poltrona o fingendo di cercare qualcosa sotto il letto, a cui basta un’occhiata per trasportarci nei solchi disegnati dalle rughe.

John Standing e Michael Caine in Fuga in Normandia
John Standing e Michael Caine in Fuga in Normandia

John Standing e Michael Caine in Fuga in Normandia

Non è (solo) cinema geriatrico, Fuga in Normandia, ma un senior movie come solo gli inglesi sanno fare: un po’ perché gli anziani hanno diritto di cittadinanza sul grande schermo e meritano storie in cui non siano funzionali alle azioni altrui ma il più possibile protagonisti attivi; e un po’ perché i mostri sacri della recitazione possono concedersi – e concederci – un ultimo giro senza strafare, un saggio di come si può essere ancora al centro della scena nonostante le sedie a rotelle, i carrellini, i bastoni, le dentiere, gli acciacchi contro la condanna alla putrefazione e l’ineluttabilità del decadimento.

Basato sulla storia vera di un veterano della Royal Navy che 89 anni fuggì dall’ospizio, Fuga in Normandia (il cui titolo originale suggerisce una dimensione più avventurosa: The Great Escaper) è un film quieto e invernale, pacato e dignitoso, in cui quel che accade è meno interessante di come Caine e Jackson lo vivono: i conti col passato sono prevedibili, la nostalgia si mischia al rimpianto, l’ambizione ha la sordina, la regia di Oliver Parker è rassicurante quanto priva di sussulti. Il piacere sta tutto nella presenza delle due icone (Caine è in amabile duetto anche con John Standing: “Il mondo è sicuramente più gradevole se visto attraverso un bicchiere” gli dice con l’amarezza degli anziani), che si sobbarcano il peso del film e salutano il pubblico in un finale dolcissimo.