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In tempi in cui, grazie al web, il grande cinema del passato è paradossalmente a portata di mano di chiunque ma sempre meno frequentato, specialmente dai giovani, ben vengano i documentari retrospettivi a illuminare ascesa caduta e rinascita dei maestri della settima arte.
Poiché, se il film di Francesco Zippel rientra indubbiamente nella categoria suddetta, altrettanto indubbia è l’appartenenza di William Friedkin al ristretto novero dei cineasti che hanno realmente contribuito, pellicola alla mano, a innovare profondamente lo stile, il gusto e la percezione del fenomeno cinematografico a partire dagli anni settanta, incidendo come pochi altri su generi come il poliziesco e l’horror sulla scorta di una poetica personalissima e inconfondibile ma scevra di sterili intellettualismi.
Friedkin, americano figlio di ebrei ucraini, arriva al cinema quasi per caso, percorrendo tutta la gavetta da quando comincia a lavorare, come smistatore di lettere, per un’emittente televisiva. Un esordio folgorante da documentarista (che contribuisce a salvare la vita di Paul Crump, un afroamericano condannato alla sedia elettrica), Friedkin ottiene la consacrazione con il leggendario Il braccio violento della legge, Oscar al miglior film nel 1972 e chiave di volta del noir/poliziesco successivo.
Da quel momento segue una serie di capolavori, dall’acclamato Esorcista e da Il salario della paura fino al bellissimo e angosciante Cruising, tuttora da rivalutare pienamente, con cui il regista si avvia lungo una parabola discendente, anche a causa di ripetuti flop al botteghino, fatta eccezione per l’altra pietra miliare - questa volta degli anni ottanta - rappresentata dal noir iperrealista Vivere e morire a Los Angeles, con un luciferino Willem Dafoe.
Il doc di Zippel è doppiamente interessante: a un livello tematico perché affronta con precisione i due aspetti chiave del Friedkin-pensiero, vale a dire la riflessione sulla vulnerabilità dell’uomo dinanzi alle manifestazioni del Male e l’approccio documentaristico dello stile e dell’andamento narrativo. A un livello puramente contenutistico, Friekdin uncut offre infine, com’è giusto che sia, un’enorme mole di materiale di repertorio, tra cui alcune splendide sequenze di backstage che documentano la lavorazione di capolavori come L’Esorcista e The French connection.
Tutta da godere, infine, la consueta sequela di interviste: oltre a Friedkin stesso, la macchina da presa coglie i contributi, tra gli altri, di Francis Ford Coppola, Walter Hill, Dario Argento, Quentin Tarantino, Willem Dafoe, Wes Anderson, Damien Chazelle, Juno Temple e Matthew McConaughey.
A Venezia Classici Doc.