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Si possono spendere 23 anni della propria vita al servizio della legge e in punto di morte non trovare giustizia da quella stessa legge? Si può, e purtroppo è storia vera, quella del detective di Ocean County, New Jersey, Laurel Hester (Julianne Moore) e della sua compagna Stacie Andree (Ellen Page). Le due donne ormai 10 anni fa ingaggiarono una battaglia per ottenere uguali diritti: malata terminale di cancro, Laurel voleva che la sua pensione andasse a Stacie, ma i funzionari – Freeholders - della Contea erano di diverso avviso… Laurel lottò fino alla fine, ma non fu sola: oltre a Stacie e ai familiari, ebbe al proprio fianco il detective Dane Wells (Michael Shannon), suo partner alla polizia, e l’attivista per i diritti civili, in primis il matrimonio gay, Steven Goldstein (Steve Carell), che contribuì a fare delle sue traversie un caso mediatico nazionale.
In cartellone alla decima Festa di Roma, è Freeheld, diretto da Peter Sollett, basato sul cortometraggio documentario premio Oscar di Cynthia Wade e sceneggiato dal Ron Nyswaner di Philadelphia. Un film discreto, imperniato sulle prove delle due attrici: brava as usual la Moore, che però fa molto Still Alice ovvero déjà-vu, e bravina la Page, da cui ci saremmo aspettati di meglio che, soprattutto a inizio film, corrugamenti frontali, occhi trasognati e volemosebene con indicazione LGBT tipica.
Pazienza, la storia è così esemplare ed emotivamente pregna da trasgredire la convenzionalità del racconto o, meglio, la sua natura vagabonda, di più, ondivaga (e non esente da stereotipi, anzi): Freeheld parte quale detective story, diventa lesbo drama, abbraccia il cancer movie, con un correlato uso dei registri non sempre in tema – e a tempo.
Tant’è che l’entrata a gamba tesa dell’attivista umorista gaio di Carell non sembra mera evenienza storica, bensì necessità drammaturgica: della serie, come ti risollevo Freeheld. Ma il film è per una buona causa, dunque, tutto è perdonato? Pragmatico, programmatico e... propedeutico?