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Vi ricordate Time Out of Mind, passato alla Festa di Roma 2014 e non ancora – e comprensibilmente – approdato in sala? Richard Gere vi faceva il barbone e, per farla breve, concludemmo la recensione con un “beati gli ultimi se i primi li sapranno raccontare…”.
Ebbene, dopo quel clochard gli tocca, al bel Richard, un miliardario, ovvero un altro che non lavora: l’eponimo Franny, inquadrato dall’esordiente Andrew Renzi. Ecco, non bastasse il film, c’è pure il cognome giusto. Multimilionario e filantropo, Franny è, come si dice, uomo affascinante e misterioso; come non si dice, un tot svitato, molto drogato (una specie di morfina) e molto control freak. Dopo tanti anni, tutti passati in una suite a non smaltire i postumi di un terribile incidente automobilistico, il nostro Franny ritrova la figlia, Olivia (Dakota Fanning, in spaventosa involuzione), dei suoi più cari amici: la ragazza si è sposata con Luke (Theo James, inetto) e aspetta un figlio…
Con le Feste che incombono, il pregio di Franny è uno e bino: per chi lo vedrà, dura poco; per chi ne deve scrivere, non ha molto da dire. Insomma, la concisione.
Con il conto in banca ben solido, il 66enne Richard negli ultimi tempi si diletta a scegliere ruoli insoliti, diciamo disadattati nel panorama hollywoodiano, e sovente li cerca nelle opere prime, davanti alla macchina da presa di carneadi o belle (?) speranze. Nel caso di Franny, e non solo, ha scelto male: il film segue tante piste (paternità nascosta, spettri incestuosi, thriller stupefacente) perdendole tutte, soprattutto, non riesce a farsi seguire, perché il nostro interesse svapora subito. E che dire dell’eponimo? Anche i ricchi piangono, ma non sempre ti vien voglia di allungare il fazzoletto.
In conclusione, Mr. Gere è riuscito a farci rimpiangere Hachiko (2009): succede quando dai film con un cane si passa ai film da cani.