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Isabelle Huppert è Frankie, famosa attrice malata terminale. A Sintra, Portogallo, riunisce forse per l’ultima volta la famiglia: il primo compagno Michel (Pascal Greggory), l’attuale Jimmy (Brendan Gleeson), il figlio Paul (Jérémie Renier), nonché la figliastra Sylvia (Vinette Robinson) con il compagno Ian (Ariyon Bakare) e la figlia Maya (Sennia Nanua). A raggiungerla è anche l’amica Irene (Marisa Tomei), parrucchiera impegnata sul set di Star Wars insieme a Gary (Greg Kinnear). Si parla, con vista sulla fine, variamente declinata e, ehm, opportunamente coniugata.
Film sulle relazioni con mood crepuscolare è l’eponimo Frankie, diretto dall’americano Ira Sachs, da una sceneggiatura a quattro mani con Mauricio Zacharias, in concorso al 72° Festival di Cannes.
Dall’ultimo di Noah Baumbach – regista peraltro citato – The Meyerowitz Stories a La casa sul mare di Robert Guédiguian, il territorio della reunion familiare anche negli ultimi anni continua a essere doviziosamente esplorato, sicché Frankie non può giocare la carta dell’originalità, né lavora su introspezione, chiaroscuri, suggestione e non detti a tal punto da spiccare il volo o, almeno, da elevarsi a primus inter pares, anzi.
Senza la dignitosa sofferenza della Huppert, la sottrazione di Gleeson, la presenza di Renier, la freschezza della Tomei, ovvero al netto della bravura degli interpreti, manco varrebbe la pena di parlarne, così siamo in una medietà senza colpi d’ala né battiti, con personaggi interessanti però poco sondati, e sprazzi di commedia nel continuum luttuoso che vorrebbero farsi applaudire. Verrebbe voglia di saperne di più, però da un altro regista o, forse ancor più, da un altro sceneggiatore.
Film in sordina, non si sa poi se per cordoglio o incapacità: prendere commiato con colori pastello rischia di passare inosservato, povera Frankie.