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Footnote
Dopo Beaufort, Orso d'argento alla regia di Berlino 2007, l'israeliano Joseph Cedar torna a raccontare la guerra - la tattica e non la strategia - in Footnote (Hearat Shulayim): una nota a piè di pagina formato famiglia. Padre contro figlio, e figlio contro padre, con le rovine sparse tutte attorno, gettate addosso agli altri membri del “focolare” domestico e allargato.
Il vecchio Eliezer Shkolnik (Shlomo Bar Abba, una maschera di muta intensità) e il giovane Uriel Shkolnik (Lior Ashkenazi, bravo anche lui) sono due professori, con la stessa materia (lo studio del Talmud) ma prospettive agli antipodi: il primo è un orso, un purista ai margini del sistema, se non reietto, mentre il figlio è alla page, ben inserito, multitasking ma, a detta di papà, privo di qualsivoglia scientificità. Tra i due (non) litiganti, si mette l'Israel Prize: il prestigioso riconoscimento che Eliezer ha agognato per tutta la vita e poi finito per disprezzare, come l'uva per la volpe. Ebbene, l'attesa è finita: quel maledetto premio arriverà in famiglia. Ma a chi: Eliezer o Uriel, il vecchio o il giovane?
Dopo i soldati asserragliati in un fortino crociato à la Buzzati dei Tartari, Cedar non si appoggia più a un romanzo, e scrivendo da solo punta a una sorta di Pastorale israeliana, che mixa Roth con uno humour – inaudito paragone? – che crediamo non spiacerebbe al palestinese Elia Suleiman, due anni fa a Cannes con Il tempo che rimane. Titolo che offre una significativa e letterale nota a piè di pagina a questo Footnote: quanto rimane perché questa famiglia non salti definitivamente per aria?
Cedar prende dalla commedia degli equivoci, fa del lessico famigliare il codice binario degli Shkolnik, e lo fa con una regia palese, fin troppo esibita: iscrizioni e cartelli, quadri e montaggio come fossero un microfilm, patchwork curato e ancor più musicato (Amit Poznansky). Mentre in seno alla poetica, all'ideologia stessa è una dicotomia, rivelata infine da una “Fortezza” (come Beaufort) che non tiene, ma rivela: filologia o insegnamento? Il padre rivendica la prima: “Sono un filologo”, viceversa, il figlio l'ha sempre inteso insegnante: come finirà?
Sospensione, ma non dal giudizio: nella famiglia precipitano e si esaltano le costrizioni e il gioco delle apparenze, del vero falso e del falso vero, che fanno la società. Così il passo a due padre-figlio percorre tutta Israele: suono l'inno nazionale, ma a piè di pagina il contrappunto è dolente. Forse umano, troppo umano. Comunque, una nota a piè di pagina Cedar la mette anche al Concorso.