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Laura Morante in Folle d'amore - Alda Merini
Un po’ come i post sui social che riportano gli estratti più d’impatto dei suoi componimenti (tra aforismi che non nascono tali e decontestualizzazioni a legittimo uso e consumo del pubblico), Folle d’amore – Alda Merini cita più che approfondire l’opera della poetessa dei Navigli, preferendo il racconto della vita di una diversa anziché la restituzione di una vita in versi. Dove per diversa s’intende la dropout per eccellenza, “la pazza della porta accanto” (così una delle sue raccolte più celebri) che si rivela un’imprevista outsider del mondo letterario.
In fin dei conti è un metodo che ha senso e non solo perché è la biografia di Merini a generarne la produzione lirica, con gli eventi che irradiano una poetica nella quale si proiettano dolori e furori privati. Ma anche perché Merini è icona pop(olare) tout court, tra le poche voci letterarie contemporanee a rivendicare un posto tanto nelle antologie quanto nell’immaginario.
Il tv movie Rai dell’ottantenne Roberto Faenza asseconda le esigenze della committenza generalista, dalla struttura tradizionale al focus sulle tematiche: nella Milano a cavallo tra i Novanta e gli anni Zero, l’anziana poetessa (Laura Morante, di sicuro professionismo) conosce il giovane Arnoldo Mosca Mondadori (Federico Cesari) e rievoca il passato, dagli amori tempestosi (Giorgio Manganelli, Salvatore Quasimodo en passant, il marito che le dà quattro figlie poi affidate ad altre famiglie) ai ciclici e frequenti ricoveri in manicomio (il disturbo bipolare trattato a forza di elettroshock) fino alla fama in tarda età.
La cornice inquadra il personaggio (da giovane ha il volto di Rosa Diletta Rossi), sfiora il contesto e ne preserva intelligentemente l’umidità, ma il film resta sulla superficie di un mito e di un mondo, fatica a trovare un equilibrio nell’intreccio tra il dato biografico e quello poetico (i versi sono declamati in modo un po’ posticcio), si limita a celebrare la figura rasentando l’agiografia. Che Faenza eviti il midcult di Prendimi l’anima è un bene, ma l’onestà non gli permette di schivare l’effetto bignami.