La scommessa era intrigante: unire la controversa storia del primo allunaggio alla screwball comedy. L’Apollo 11 a George Cukor. Senza dimenticare un po’ di salsa cospirazionista alla Ken Follett. Missione che ha trovato l’adesione convinta di Scarlett Johansson, nella doppia veste di interprete e produttrice e le coperture finanziare di Apple, che ha messo sul piatto 100 milioni di dollari. Onore al coraggio più che all’esito.

In Fly Me to the Moon a fare scintille sono tanto i razzi della NASA quanto i due protagonisti, Channing Tatum e la Johansson: il primo è il direttore del celebre lancio che porterà Armstrong, Aldrin e Collins sulla luna; la seconda un genietto del marketing assoldata da un fixer del Presidente Nixon (un mefistofelico Woody Harrelson, ça va sans dire) per rilanciare l’immagine della missione Apollo 11 presso il pubblico-elettore.

Fly Me to the Moon © 2024 CTMG, Inc. All Rights Reserved
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Cole Davis (Channing Tatum), Moe Berkus (Woody Harrelson) and Kelly Jones (Scarlett Johansson) in FLY ME TO THE MOON.

Da una parte la vecchia America, l’hardware di un paese affidato all’integerrimo colletto bianco, già valoroso soldato americano (“per 52 volte in Corea”), modi spicci, pettorali risoluti, cuore onesto e fanatica devozione alla causa. Dall’altra la nuova, quella del marketing, capace di vendere tutto a tutti, personificata dall’emancipata e spavalda working girl che intimorisce e seduce il maschio offrendogli soluzioni e upgrade: il software del Paese.

I contrasti ideologici e attitudinali, le scaramucce verbali, fanno naturalmente parte dei rituali di corteggiamento della rom-com classica ma, passi Scarlett Johansson, Channing Tatum non è lontanamente Cary Grant e nemmeno Gregory Peck. Troppo fisico e poco carisma per travasarsi impunemente dall’action alla screwball. Se non fosse per i siparietti con Harrelson e, almeno nella prima parte, per l’esuberanza cotonata della Johansson, si potrebbe liquidare il tutto come un insuperabile problema di miscasting. Invece ci sono momenti che funzionano nonostante lo scarso affiatamento tra i due, e sono proprio quelli in cui Fly Me to the Moon si dimentica di essere una commedia romantica per improvvisarsi satira della vocazione affaristica e manipolatoria dell’America.

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Cole Davis (Channing Tatum) and Henry Smalls (Ray Romano) in FLY ME TO THE MOON.

Le campagne escogitate dal personaggio della Johansson per vendere il “sogno” della Luna agli americani chiariscono meglio di tanti manuali il funzionamento e il potere di attrazione del modello americano. Propaganda e persuasione regolano i gangli della società americana a più livelli, dalla casalinga convinta ad acquistare l’aspirapolvere al politico di turno persuaso a votare a favore dei finanziamenti per la missione allunaggio. Fino ad arrivare al più alto in grado tra i persuasori occulti, il presidente Nixon.

In questa scala dell’abbindolamento merita un posto a parte la presunta messa in scena dell’allunaggio stessa, ordinata dallo spregiudicato “assistente” del Presidente, che diventa nella seconda parte il cuore stesso della vicenda. Nel ricamarci su, Il film mostra sicuramente una consapevolezza d’intenti, facendo mostra dei suoi artifici mentre procede mescolando i piani della finzione con quelli della realtà. Quest’ultima è quella della fine degli anni ’60, rievocata come fosse una cartolina, con i colori accesi dei film di allora e un ineccepibile riuso di acconciature e vestiti.

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Kelly Jones (Scarlett Johansson) in FLY ME TO THE MOON.

Quello che manca a Fly Me to the Moon è la disinvoltura necessaria a darsi un tono più spassoso, cinico, sferzante. Sceglie invece di illanguidirsi in dinamiche sentimentali e in increspature drammatiche che mal si conciliano con la leggerezza dell’inizio e il registro della satira.
Anche perché, e rischiamo di ripeterci, i personaggi che funzionano di più sono proprio quelli da commedia, come Woody Harrelson o Jim Rash. Va bene essere fluido, aperto alle contaminazioni tra generi diversi – si spiega così il ricorso a un regista come Greg Berlanti, che si è cimentato in passato sia con l’action che con la commedia - ma il rischio è di non sembrare né carne né pesce, né brillante né serio.

Il titolo è lo stesso del brano scritto da Bart Howard e portato al successo da Frank Sinatra. Il film utilizza la cover cantata da Raye.