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Jesse Eisenberg e Claire Danes in Fleishman a pezzi (credits: Linda Kallerus/FX)
Il titolo italiano allude inevitabilmente all’Harry di Woody Allen, che più che a pezzi era un soggetto da decostruire, Deconstructing appunto, come insegna Jacques Derrida. Che il nostro Fleishman sia a pezzi è indubbio, ma in originale la situazione è meno tranchant e, forse, più devastante: in a trouble, in difficoltà.
Perché ciò che racconta la serie creata da Taffy Brodesser-Akner (alla base c’è il suo omonimo romanzo) non è il dopo, ma il qui e ora dell’essere – anzi, dello stare – a pezzi, qualcosa che vediamo nell’atto stesso in cui Toby si sgretola, si dissolve, si perde. Si sgretola il suo sistema di certezze, prima la famiglia e poi il lavoro. Si dissolve il desiderio: innescato dalla solitudine, parcellizzato nell’estemporaneo, diluito nell’effimero. Si perde in uno spazio che sembra non appartenergli più.
In un’estate torrida e mai illuminata dal sole, Fleishman a pezzi racconta, con frequenti salti nel passato remoto e prossimo, il riposizionamento sociale ed emotivo di un medico quarantunenne (Jesse Eisenberg, mai così perfetto dai tempi di The Social Network) che ha appena divorziato dalla moglie work alcoholic (Claire Danes, memorabile), con la quale stava insieme da quindici anni: recupera gli amici perduti per strada, Libby (Lizzy Caplan, straordinaria) e Seth (Adam Brody, bravissimo), aspetta l’agognata promozione, si prende cura dei figli, l’irrequieta Hannah e il dolce Solly, cerca (invano) di convivere con l’idea di essere stato abbandonato. Così, improvvisamente.
Come è successo? Quand’è che Rachel, la donna della sua vita, ha smesso di amarlo? Perché Toby non si sente all’altezza dell’amore che crede di non meritare? E soprattutto dov’è finita Rachel, sparita da un giorno all’altro?
Otto episodi (su Disney+; la regia del primo, che dà la misura e le linee, è affidata a Jonathan Dayton e Valerie Faris, che iniettano calore e malinconia) per seguire la decostruzione di un amore e tutto ciò che gira attorno, a partire dal riappaesamento in un quotidiano degli affetti radicalmente diverso a come Toby l’aveva lasciato prima di conoscere Rachel.
Innanzitutto si dà alle app di dating, tant’è che dapprincipio sembra la storia di un ebreo newyorkese che da ex loser si trasfigura in oggetto del desiderio (con quel che ne consegue nel precipitato religioso-culturale: insomma, Allen non è un riferimento peregrino), disponibile a incontrare tutte le donne che finalmente vedono in lui un maschio appetibile e gli inviano messaggi e foto che lasciano poco all’immaginazione. Non c’è moralismo, attenzione, perché il discorso è più profondo: Toby non si vota all’incontro occasionale solo per fuggire dall’angoscia dell’abbandono, ma anche per emanciparsi dalla trappola del plurale (l’amore come “noi”).
Eppure la grandezza di Fleishman a pezzi sta nell’ambiguità, nella duplicità, nella versatilità del titolo: siamo sicuri che il vero protagonista sia il maschio? Fleishman è anche lei, dopotutto, come convenzioni conservative americane impongono alle donne sposate: siamo nel 2016, in un’epoca pre Trump, e si vedono spesso i cartelli elettorali della signora Clinton, Hillary Rodham, un riferimento quantomeno tematico. E poi lo sguardo, cioè la voce narrante, è femminile: è di Libby, l’amica ritrovata, la scrittrice insoddisfatta perché surclassata dai colleghi, la madre e moglie soffocata dalla routine domestica che cerca una via di fuga nella ginnastica danzante.
È anche grazie a lei, alla sua sensibilità briosa e alla sua voglia di confortare l’amico, se proviamo empatia, affetto, amore nei confronti di Toby, l’uomo tradito (con un uomo che è il suo opposto), abbandonato (con i figli disorientati), rifiutato (in favore di vite più attraenti), umiliato (di fronte ad amici ricchi, ipocriti e cinici). Non è solo il background di Toby a renderlo l’antieroe di una commedia umoristica che sfocia nel melodramma e viceversa, nonché l’erede di una tradizione di ebrei newyorkesi sfigati, ma anche la voce di Libby che ne scandaglia il tormento, si mette accanto al suo bisogno di uscire dal dramma, si convince che la giovinezza perduta possa tornare (in fondo è anche una storia sul desiderio di tornare all’adolescenza).
Le capita con Toby e con Seth, il più bello e popolare del loro corso e che, alle soglie dei quarant’anni, deve fare i conti con i contraccolpi del tempo che passa. Due maschi, appunto. Perché con le donne, Libby, ha dei problemi, dalle altre mamme troppo immolate alla famiglia alla stessa Rachel, troppo immolata all’autoaffermazione di sé a scapito degli affetti. I suoi miti sono maschi: lo scrittore star dell’editoria, l’ex flirt idealizzato, gli stessi Toby e Seth che lei invidia perché liberi dai vincoli familiari. Benché non sia esplicitato, quell’empatia che riserva agli amici non è contemplata al resto delle donne.
Ma, senza fare troppe anticipazioni, Fleishman a pezzi spiazza quando si rivela più stratificato di come si era annunciato, quando la prospettiva slitta davvero verso il femminile: grazie al trouble di Rachel, Libby si sveglia e scopre di essere lei stessa in a trouble.
È qualcosa che accade in parallelo al momento in cui Toby e i suoi figli si immergono nel Vantablack, un’installazione dell’American Museum of Natural History, il materiale più scuro conosciuto fino al 2019, che assorbe quasi tutte le radiazioni dello spettro visibile: quel tentativo di annullare il dolore lo rende invece più aspro e rancoroso, ed è la stessa Libby a capire quanto Toby sia focalizzato su se stesso, in profondità incapace di connettersi con le frustrazioni della moglie, con le umiliazioni a lui invisibili, con il dolore altrui.
È un dramma borghese sull’ansia sociale nella società del privilegio, certo, e, come Storia di un matrimonio, è una storia che mette la teoria sull’importanza del punto di vista al servizio della narrazione pura, incalzante e coinvolgente: ogni storia ha un inizio, un centro e una fine, diceva Truffaut, ma può essere raccontata in molti modi. Fleishman a pezzi ne mette in scena tre: ognuno, in qualche modo, spezza il cuore.