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Firebrand
Quattro anni dopo aver vinto Un Certain Regard con La vita invisibile di Eurídice Gusmão, il brasiliano Karim Aïnouz accede per la prima volta al Concorso, adattando un altro romanzo, Queen's Gambit (2012) della britannica Elizabeth Fremantle: Firebrand, interpretato da Alicia Vikander e Jude Law.
Protagonista è Catherine Parr (Vikander), la sesta e ultima moglie di Enrico VIII (Law), sopravvissuta al re che avrebbe ispirato Barbablù: tutti i matrimoni precedenti del re erano falliti, due dei quali per decapitazione della consorte.
Nell'Inghilterra Tudor scorre il sangue, Katherine Parr viene nominata reggente, mentre Henry combatte all'estero: la donna cerca di realizzare le sue convinzioni protestanti, ma al ritorno il sovrano gangrenoso e collerico s’accanisce sui, ehm, radicali liberi.
Sebbene sia il 1546, non è quello di Henry un governo assoluto, giacché l’influenza della consorte tracima: già, Katherine è l’eponima Firebrand, che minaccia l’ordine costituito opponendosi all’autorità e incoraggiando gli altri a farlo. Saprà fronteggiare il re, contenerlo se non contrastarlo, per il bene di tutti o, almeno, la gran parte?
Amore e tirannia, manipolazione e potere, cospirazione e fede, sopra tutto fantastoria o giù di lì: Aïnouz continua a ritrarre donne che entrano in conflitto con l'ordine sociale. Il melodramma A Vida Invisível inquadrava l'emancipazione di due sorelle, stavolta consegna all’agit-prop ante litteram Vikander l’autodeterminazione di un Paese intero – e pazienza se la Storia va piegata un po’ (tanto).
Avete già capito, siamo alle solite ultime scorse: il manifesto si mangia tutto, la dichiarazione la poetica, il messaggio la drammaturgia. Women’s empowerment, sicché il film in costume si denuda al cospetto del qui e ora: funzionale, strumentale, “a tesi”, con buona pace di due bravi attori.
A Vida Invisível, con tutti i suoi difetti, nella forma trovava sostanza e dunque un tot di affrancamento dal femminismo al peso, Firebrand è smaccatamente propagandistico, insufflando nel passato lo Zeitgeist attuale. Già che c’erano, potevano intitolarlo The Woman King, gemello diverso di cotanta lesa maestà. Ma la vittima non è il re, bensì il cinema.
Ah, prima di mandarlo in sala: fate qualcosa per le barbe finte che più finte non si può.