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L'entrata odierna del Filmstudio
Il ’68 a Roma comincia… nel 1967. Così afferma Tony D’Angelo, voce fuori campo e guida di Filmstudio, Mon Amour, il documentario da lui diretto e scritto (con Armando Leone) che ripercorre le vicende dello storico cineclub romano aperto appunto in quell’anno (2 ottobre 1967) da Americo Sbardella e Annabella Miscuglio. Partendo da uno scenario che si apre sulla fine degli anni ’60, D’angelo si crea le premesse per parlare di ‘altro’, di quando sembrava che Roma potesse diventare luogo d’incontro di una cultura rinnovata, fucina di sperimentazione e attrazione di suggestioni internazionali.
Il viaggio di D’Angelo comincia in modo discreto e quasi timoroso, consapevole di doversi tenere a metà tra ricostruzione storica e piacere di riportare in primo piano eventi per molti sconosciuti. Davanti alla m.d.p. del regista si alternano molti testimoni di quei momenti salutari di entusiasmo e di idee. Quelli che partecipavano alla costruzione di palinsesti e scelte editoriali (Adriano Aprà ricorda che il Filmstudio era uno dei punti di riferimento delle avanguardie delle arti e che "Io sono un autarchico di Nanni Moretti ottenne un successo imprevisto", e "apriva un’altra era che non era la nostra"), quelli che frequentavano perché trovavano quei film che nessun’altro cinema proponeva, fino alla proposta di Rassegne e "personali" di registi da scoprire: Jean-Luc Godard, Norman Mac Laren, Wim Wenders.
Il cinema italiano di urto e di provocazione si riconosce in Anna di Grifi e Sarchielli ,un film-documento girato in tempo reale su fatti di vita reale. Tempi nuovi, cinema italiano sulle barricate, femminismo incombente, contestazione e rivoluzione: tutto il reperto degli anni ’70 passa davanti allo schermo della sala di Trastevere, mentre intorno, nella città, altri spazi alternativi aprono e crescono: Politecnico, Officina, Occhio Orecchio Bocca, Sadoul.
Ad incombere la mannaia delle censura, che occhieggia, vieta, seleziona, limita la libertà di movimento, e Alberto Moravia si mobilita per suscitare opposizione. Eppure tanti titoli vengono proposti, certe pellicole sono introvabili e i responsabili si rivolgono al magazzino della SanPaolo Film che mette a disposizione il magazzino dei Super8. L’unico ostacolo insormontabile risulta quello della pubblica amministrazione. Crisi dell’esercizio significa chiusura del locale che chiude alla metà degli ’80 per riproporsi al pubblico nel 2000, anno Santo, con una rassegna sul rapporto fra cinema e spiritualità.
Ma il terzo Millennio è quello delle nuove tecnologie, e niente può essere più come prima. Il Filmstudio che funziona lo fa nelle forme ormai lontane anni luce dagli anni della fondazione. Così vicini, così lontani. Il lavoro di D’Angelo corre un rischio generazionale molto forte. Chi c’era contestualizza e si diverte; tutti gli altri osservano e cercano di capire. Ma non è facile. Eppure sono passati solo pochi decenni. E il cinema non è invecchiato più di tanto. Ma certi apprezzamenti sulla borghesia, certi giudizi sul futuro della società aiutano a capire perché sembrano trascorsi non quaranta ma cento anni.