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Andrew Barth Feldman e Jennifer Lawrence in Fidanzata in affitto
Non solo in Italia, anche alle porte di New York i giovani sono asfissiati dal carovita: Maddie (Jennifer Lawrence, qui anche co-produttrice), trentenne guidatrice Uber, una piramide di bollette sul comò, orfana di madre, rifiutata dal padre, vive, sola, nella casa d’infanzia. Arrivare a fine mese per lei e le sue amiche è un’impresa, soprattutto quando il carroattrezzi le porta via la macchina per morosità.
A rischio sfratto e con solo un lavoretto in un lido sul mare, la bella Maddie si ritrova sul lastrico. Ma ecco un’annuncio di due facoltosi genitori: cercano una coetanea che scuota il figlio diciannovenne, lo faccia socializzare, anzi che lo “educhi” sessualmente. Percy passa l’estate prima di andare al college chiuso in camera, tra telefono e videogiochi. In compenso l’inserzione promette un Buick Regal d’annata, ma in ottimo stato. Per la protagonista significa salvare lavoro e casa. Offerta accettata, nonostante la differenza d’età.
Solo che Percy, pur attratto dalle seducenze di Maggie, non è un inetto. Dietro l’inadeguatezza verso il femminile, si cela un ragazzo arguto, sensibile, poliedrico (cantante, pianista, animalista) che rifiuta le avances sessuali (al limite con le molestie, o forse oltre) della sua “fidanzata”. Vuole conoscerla
prima , imparare a fidarsi di lei. La missione, così, per Maddie si complica, soprattutto perché implica, per la prima volta, ricalibrare il suo codice comportamentale con l’altro sesso.Tra alti e bassi, tra soluzioni congrue e altre strampalate, proprio il ribaltamento dei piani (morali, tematici, cinematografici) è la cifra del coming of age diretto da Gene Stupnitsky: se a cavallo del Duemila nelle commedie sessuali giovani erotomani bramavano candide ragazze (la saga di American Pie, ma anche Non è un’altra stupida commedia americana, per citarne un paio), nell’era del Me Too, l’ex ragazza prodigio di Hollywood diventa una seduttrice d’un giovane ancora sessualmente analfabeta, e lo fa non per il sesso, ma per disperazione economica.
In più, sulla classica impalcatura da commedia degli equivoci, la scrittura (lo stesso Stupnitsky con Jhon Philips) lavora sul ribaltamento delle apparenze, istigando, cioè, le sue creature a frantumare lo stereotipo di partenza e a migliorarsi a vicenda: Percy, come accennato, si rivela tutt’altro che timido e tardo, Maggie, perciò, deve svestire i panni del feticcio erotico (così, a proposito di sessismo, era stata presentata dal trailer italiano) per sintonizzarsi su dubbi e desideri del ragazzo – non a caso entra nel film in déshabillé, ne esce in felpa e sneakers -, senza contare che lo maturazione di Percy costringe i genitori a recidere il cordone ombelicale.
Certo sguaiatezze – Percy trascinato nudo sul parabrezza della macchina di Maddie, e viceversa –, amnesie, paternali alla Gen Z, svolte prevedibili e semplificazioni narrative (spesso più omaggi alla componente spettacolosa, voyeurista del genere che snodi fu
nzionali) spuntano qua e là, ma questo romanzo di formazione a sfondo sociale sta in piedi sulle sue gambe fino in fondo con una sua chiara morale, con una certa coerenza, e perfino con un’insospettabile grazia (per lo sguardo registico verso l’adolescente e) perché la coppia recitativa Peldman – Lawrence trova presto una felice alchimia. E la mantiene fin sui titoli di coda.