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Fast X
L’importante è finire: sì, ma come? Torna Vin Diesel, per la decima volta nella salopette del Dom Toretto di Fast & Furious: numero romano ovvero incognita, è Fast X, e da capire se avrà uno o – vorrebbe Universal - due sequel a chiudere la saga su quattro ruote inaugurata quasi un quarto di secolo fa (Fast and Furious, 2001).
Nella rentrée, Toretto e famiglia allargata debbono affrontare l'avversario più letale che abbiano mai incontrato: Dante Reyes, Incarnato da Jason Momoa, vale a dire il figlio del narcos brasiliano Hernan che in Fast Five del 2011 era stato eliminato su un ponte di Rio de Janeiro. La vendetta di Dante spingerà Dom e accoliti da Los Angeles a Roma, dal Brasile a Londra, dal Portogallo all'Antartide: si stringeranno nuove alleanze e torneranno vecchi nemici, finché Toretto non scoprirà che nel mirino c’è suo figlio di otto anni, e come porvi riparo?
Diretta dal finissimo Louis Leterrier (Scontro tra titani, L'incredibile Hulk), la Decima è interpretata anche da John Cena, Jordana Brewster, Brie Larson, Charlize Theron, Michelle Rodriguez, Tyrese Gibson, Sung Kang, Nathalie Emmanuel, Daniela Melchior, Scott Eastwood, Alan Ritchson, Helen Mirren, Jason Statham e Rita Moreno. Capace fin qui di sei miliardi e seicento milioni di dollari in biglietti a fronte di un budget di un miliardo e settecento milioni, il franchise è assai remunerativo, ma stavolta si deve superare: il costo di produzione di Fast X, tra la sostituzione del migliore Justin Lin – caduto in disgrazia agli occhi di Diesel - con Leterrier e il Covid, è levitato a 340 milioni di dollari, sicché il break-even sta intorno al miliardo, ce la faranno i nostri derapanti eroi?
Lin a modo suo era epico ed elegante, il forse più muscolare, di certo più tamarro Leterrier indulge massicciamente nella CGI, facendo di Roma - che poi in gran parte è Torino, potenza dei cardi e decumani e ancor più della Film Commission Piemonte – un fondale di cartapesta digitale da scassare con la mina gigante che Dante vuole detonare in Vaticano. Meglio, decisamente, l’escursione a Rio, non perché la CGI sia impiegata di meno, ma è la messa a terra, pardon, su strada che si fa preferire: più cavalli, meno artifici, più genuinità, meno mission impossible.
Dio (crocefissi che manco sul Golgota), patria (poca) e famiglia (avoja), Fast X è un monumento a Toretto e alle sorti magnifiche e progressive della saga, ovvero un rabbocco di immaginario o, più modestamente, immagine: Theron e Rodriguez se le danno, Momoa fa il matto ma non spaventa, Diesel guida pro domo sua (e conta i soldi), gli altri un po’ non arrivati e un po’ non partiti.
Non c’è molto per cui entusiasmarsi, ma correre su un circuito, ché questo è Fast & Furious, non è necessariamente un déjà-vu? Certo, ci vorrebbe più ironia, che pure Mirren (“Ero in ginocchio davanti a Vin, ma non per quella ragione: pregavo per far parte del film”) e Moreno (“Voglio dirlo a Helen, anche io ero in ginocchio davanti a Vin, perché sono una ragazza tremendamente ambiziosa”) hanno dispensato a luci rosse in conferenza stampa a Roma, ma non possiamo chiedere troppo: finché la macchina va lasciala andare.
Tra benzina e Diesel, la rivoluzione elettrica può attendere, e anche la distruzione della Città Eterna: “Quando cade Roma cade il mondo”, predica Dom, ma gli si oppone: “Be’, non è Vacanze romane, e tu non sei Gregory Peck”. Già.