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Tra le molte iniziative per celebrare il centenario della nascita di Federico Fellini, Fantastic Mr. Fellini è uno degli oggetti più curiosi. Quaranta minuti in cui Wes Anderson parla dell’influenza che il grande regista ha esercitato sulla sua carriera.
Diretto da Francesco Zippel, già collaboratore di Anderson nel corto felliniano Castello Cavalcanti, il documentario, prodotto da Sky Arte, rappresenta la prima approfondita intervista che il regista di Moonrise Kingdom rilascia al di fuori della promozione dei suoi film.
Agli interventi di Anderson, accomodato in poltrona senza scarpe, si alternano i pensieri dello stesso Fellini, interpretati da Stefano Accorsi, dentro una comoda struttura a capitoletti che vuole mettere in luce le affinità tra il Maestro e l’allievo.
Il primo incontro è nell’adolescenza, “ma non posso dire che Amarcord e La strada mi siano piaciuti davvero”. L’amore scatta a diciannove anni con 8 ½, il capolavoro che da quasi sessant’anni folgora novelli cineasti. Adora Le notti di Cabiria ma non La dolce vita, di cui naturalmente riconosce l’importanza capitale.
“Fellini è il più musicale dei registi e tutti i suoi film sono musical”, sostiene Anderson. E offre una chiave di lettura diversa rispetto alle letture un po’ scontate che si affollano nella recente abbondanza di omaggi e ricordi.
L’idea di intitolare questo film divertente e disinvolto ricalcando quello di Fantastic Mr. Fox, uno dei due film d’animazione di Anderson, sottolinea anche la vicinanza tra due autori che hanno bisogno della deformazione, della caricatura, del fumetto per “guardare in faccia il film”.
Ispirato da Fellini, ha girato Le avventure acquatiche di Steve Zissou a Cinecittà, alla ricerca della magica finzione racchiusa in quello spazio amato dal Maestro. L’unica volta in cui il dialogo impossibile prende le sembianze di una conversazione ideale è quando Anderson si domanda perché il suo idolo non abbia mai girato in America. Risponde, in un’intervista di repertorio, lo stesso Fellini: “Non so sognare in americano”.
Una risposta l’aveva già data ne Lo sceicco bianco: “la vera vita è quella del sogno, ma a volte il sogno è un baratro fatale”. Splendida la sintesi di Anderson sul fare cinema: “L’unico motivo per accettare la tortura di fare un film è l’eventuale sofferenza maggiore che comporterebbe il non farlo”.