Un thriller formato famiglia solido, ben girato, recitato e musicato, più lontano dall’infamia che dalla lode. Una medietà con licenza di acuto, aspirazionale senza complessi né infingimenti, una poetica vigile e uno stile senziente, eppure a rischio di sottovalutazione, complice qualche primo piano, qualche parentesi esemplificativa e qualche lirismo di troppo che dischiudono il baratro della fiction: in Concorso a Orizzonti alla 81. Mostra di Venezia, è Familia, opera seconda di Francesco Costabile con Francesco Gheghi, Barbara Ronchi, Francesco Di Leva e Marco Cicalese.

Tratto dal libro Non sarà sempre così di Luigi Celeste (Piemme), scritto dal regista con Vittorio Moroni e Adriano Chiarelli, ha nei contributi tecnici meriti palesi: la fotografia di Giuseppe Maio, il montaggio di Cristiano Travaglioli, la scenografia di Luca Servino, le musiche di Valerio Vigliar.

Sullo schermo, Luigi Celeste (Gheghi) che ha vent’anni e vive assai modestamente in borgata con la madre Licia (Ronchi), il fratello Alessandro (Cicalese) e un’assenza minacciosamente presente: Franco (Di Leva) ha reso l’infanzia dei figli e ancor più la giovinezza della moglie un inferno, ma da due lustri nessuno l’ha più visto. Nel frattempo, Luigi cerca identità e appartenenza per strada, trovando “riparo” in un gruppo di neofascisti, dove pare rimandare a memoria la violenza e la sopraffazione paterna. Un giorno il pater Franco torna, e rivuole tutto, rivuole la sua familia: che fare, quando è questione di vita e di morte?

Dopo Una femmina (2022), Costabile si ispira ancora alla realtà, e la più dolente, inquadrando il drammatico affrancamento dei suoi protagonisti, là l’eponima femmina dalle ‘ndrine, qui un figlio dal padre padrone, cui peraltro rischia di assomigliare pericolosamente. A rendere più interessante, e attuale, il quadro è la migrazione della violenza dal familiare al sociale, dal personale al politico con l’adesione all’estrema destra di Luigi: familia e militia pari sono?

Costabile dirige con sapienza gli attori, tutti bravi con nota particolare per Di Leva perfetto già nel fisico, e cerca di cavare dal buco familiare qualcosa di più della cronaca, ascrivendo alla tragedia una ineluttabilità meccanica nel corpo contundente di Franco: il femminile, sia quello di Licia che della fidanzatina di Luigi (Tecla Insolia), è la prima vittima, ma anche il vulnus inferto a una mascolinità non tossica, incarnata da Alessandro, non è da sottovalutare.

Familia è così come appare, la trasfigurazione della materia è solo accennata, il cinema assoluto balugina appena, ma in tempi, e spazi, di pastorizzazioni inerti e sperimentazioni imbelli è più di qualcosa.