The Last of Us ha evidentemente segnato uno spartiacque, un confine nella possibilità di utilizzare al meglio l’immaginario dei videogiochi per espanderlo nella forma narrativa che per estensione e approfondimento narrativo gli si avvicina di più, ovvero la serialità televisiva (una run di questo videogioco, ovvero il tempo per finirlo in modalità standard, si aggira intorno alle 15 ore, poco di più rispetto a una stagione completa di una serie). HBO, come spesso le accade, ha segnato la via, non perché la prima - per correttezza, va citata Halo, di Paramount+, del 2022 - ma perché la migliore; Prime Video ha così fatto tesoro e, attraverso MGM Studios, ha prodotto Fallout, serie ispirata ai videogiochi Bethesda che raccontano un mondo che deve fare i conti con un’apocalisse nucleare.

Gli ideatori e sceneggiatori Geneva Robertson-Dworet e Graham Wagner, assieme agli showrunner Jonathan Nolan e Lisa Joy, decidono di non seguire la trama di un singolo gioco, ma partono da quell’universo e dalla sua iconografia per raccontare una storia originale: in un mondo alternativo, in cui il Muro di Berlino non è caduto e la Guerra Fredda non è mai finita, tanto che nel 2077 gli Stati Uniti sembrano ancora fermi agli anni ’50 del Novecento, per stile estetico e ideologia anti-comunista, il mondo viene raso al suolo dalla guerra nucleare. Le élite lo sapevano, si sono salvate e hanno fatto in modo di preservare l’umanità residua in vault, rifugi sicuri e in grado di permettere il rigenerarsi della vita, ma il cui significato è quello di “tomba”.

Fallout
Fallout

Fallout

(Courtesy of Prime Video)

Più di 200 anni dopo l’esplosione, si incrociano i destini di alcuni personaggi: Lucy (Ella Purnell), giovane abitante del Vault 31, che esce dal rifugio e affronta lo spaventoso mondo in superficie per salvare il padre (Kyle MacLachlan), rapito da predoni travestiti da abitanti di un altro Vault; Maximus (Aaron Moffen), apprendista della Confraternita d’Acciaio, una sorta di futuristici templari che preservano la tecnologia come un segreto sacro, che per una serie di circostanza assume l’identità del cavaliere da cui farebbe da scudiero; Donald Cooper (Walton Goggins), attore hollywoodiano che le radiazioni nucleari hanno reso mutante trasformandolo nel Ghoul, una sorta di morto vivente e pensante che attraversa la superficie post-apocalittica come il cowboy che interpretava nel passato, cacciando teste e cercando di sopravvivere.

La grande idea degli autori e realizzatori di Fallout è quella di usare l’alternanza tra mondi narrativi e piani temporali per variare i registri e mescolare i generi, passando dalla commedia nera e satirica al western, dal fantasy steampunk a punte di splatter che ricordano il primo Peter Jackson, l’umorismo e la cupezza della distopia si alternano fino a fondersi nella seconda parte degli 8 episodi che compongono la prima stagione, con una seconda già confermata.

Rispetto ai toni compressi e dolenti di The Last of Us, la serie sviluppata da Nolan e Joy sembra in un certo senso partire dal loro precedente, molto bello e non troppo fortunato lavoro Westworld, altra rivisitazione fantascientifica dell’immaginario western, per andare in tre direzioni divergenti e farle convergere in modi imprevedibili e inaspettati: se il lavoro sul Ghoul - l’idea più brillante di tutta la serie - è gestito con collaudato mestiere e l’epica cavalleresca iper-tecnologica sono la parte più debole della serie, è spassoso e piuttosto sorprendente il modo in cui usano colori, suoni, design e personaggi da vecchissima sitcom per raccontare un incubo color pastello in cui il sorriso a tutti i costi e la nostalgia di un’America da rendere grande come una volta mascherano l’orrore con cui la vita trova la sua via per resistere e il prezzo che l’umanità paga per non soccombere al proprio olocausto.

Fallout
Fallout

Fallout

(Jojo Whilden)

Questa varietà di personaggi e toni, permette alla serie di non restare mai ferma, di sfruttare al meglio le strutture verticali della scrittura episodica (per questo, forse, era preferibile la cadenza settimanale anziché l’uscita tutta in una volta) permette alla serie di non cadere mai, al netto degli alti e bassi inevitabile in un andamento simile, però scrittori e registi (tra i quali, lo stesso Nolan) sono intelligenti abbastanza da lavorare sui personaggi con parecchia attenzione, soprattutto sui secondari, come Barb (Frances Turner), moglie di Donald e dirigente della Vault Tec, responsabile di fatto della fine dell’umanità così come la conoscevamo, e di integrare le dinamiche del videogioco con la messinscena cine-televisiva e nella narrazione, impedendo così che il background dei personaggi, quella che i videogiocatori chiamano lore, si mangi l’azione e lo spettacolo.

Episodio dopo episodio, la suspense, la tensione e il mistero si prendono uno spazio sempre più ampio rispetto alla ludicità dell’avvio, dalla Suicide Squad di James Gunn si passa a misteri spionistici e segreti di natura più seria, che aprono anche uno squarcio più serioso e possibili riflessioni sulla gestione del potere politico e della comunità, sulla natura tossica del militarismo, sul bilico in cui ci troviamo per colpa delle nostre capacità e invenzioni.

Valori produttivi altissimi (la cifra ufficiale è di 153 milioni di dollari), un lavoro sulle scenografie e sul production design quasi maniacale, un senso dello spettacolo perfetto per il mezzo streaming/televisivo e attori quasi sempre azzeccati, con Goggins che è una sicurezza e Purnell una rivelazione. A Fallout, volendo, si può rimproverare di restare sulla superficie dei discorsi che affronta, in virtù della sua natura poliedrica e del tono ironico che regna per tre quarti del racconto, ma sarebbe un processo alle intenzioni che sono quelle, esplicite fin dai primi minuti; semmai, nel mezzo di una serie di trovate molto efficaci e riuscite, stonano certe facilonerie di scrittura. È uno scotto che però paghiamo volentieri, per goderci il divertimento copioso.