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Falcon Lake
L’opera prima come manifesto e dichiarazione d’intenti, perché, al di là del tono discreto e il passo felpato, lo sguardo di Charlotte Le Bon è deciso, volitivo, perfino radicale, pur con i difetti, gli scompensi, le contraddizioni del debutto. Nonostante le apparenze, Falcon Lake ha le idee chiare: il cuore batte in quello dei protagonisti, il primo amore si fa banco di prova del percorso di formazione, il baricentro sta nel genere come visione del mondo.
A partire da Una sorella, graphic novel di Bastien Vivès (tra i massimi fumettisti francesi contemporanei), Le Bon traccia un coming of age che avviene nella stagione in cui tutto è possibile, l’estate, in un luogo di vacanza che ben rappresenta l’alterità rispetto alla norma, una baita sul lago in Quebec, e con un apparato simbolico che sta lì a testimoniare la fluidità tra reale e onirico con i fantasmi ad abitare le leggende che infestano la zona.
Nell’estate che divampa, due cuori in inverno si sciolgono: Bastien ha quattordici anni, naviga nella zona d’ombra tra infanzia e adolescenza, ha paura di tutto, aspetta che la vita si palesi; Chloé, che ha due anni in più (un divario enorme a quell’età), è dominante, insolente, coraggiosa, bellissima, ostile ai conformismi, attratta dall’oscuro. Si incontrano, si intendono, si innamorano.
La precisione del racconto si rivela nella capacità di penetrare un sentimento che è proprio di quella stagione della vita, che si riverbera nelle interpretazioni di Joseph Engel e Sara Montpetit: la scoperta del desiderio, l’ascolto del corpo, l’epifania dell’amore. Ma Le Bon sceglie una via più ardimentosa, incrociando Éric Rohmer con Stephen King, intravedendo tra le fronde del mélo adolescenziale le tenebre dell’horror psicologico, con le profondità lacustri a raffigurare il mistero, l’angoscia, l’inabissamento.
Complice la fotografia materica di Kristof Brandl, con la pellicola in 16 mm ad evocare una vocazione nostalgica che è ideologica oltre che narrativa e spinge il racconto fuori dalle contingenze del presente, Le Bon cerca la dialettica con la natura, con la luce a battere il tempo che ci rimane, il lago che seduce e inquieta, la notte che è lo spazio della dispersione, della comunione, dell’irrequietezza.
Affascinante nella forma, avvolgente nel contenuto, Falcon Lake ha qualche difficoltà nel restare in equilibrio tra concreto e astratto e perde quota nel finale, ma nelle sue fragilità rivendica un’aderenza allo sguardo dei protagonisti che è – di nuovo – manifesto d’intenti.