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Il cinema è fatto di storie, senza una buona idea non si può fare un buon film. Alex Garland ne ha avute alcune, quasi sempre frustrate dal regista con cui ha lavorato di più, il caro vecchio Danny Boyle. Escludendo 28 giorni dopo e la prima metà di Sunshine, il premio Oscar di The Millionaire ha sempre avuto una straordinaria abilità a demolire le sceneggiature che gli sono capitate tra le mani. Bene ha fatto, quindi, il bravo scrittore inglese a intraprendere la via della regia, con una storia dalle molte sfaccettature morali, proprio come piace a lui. Un giovane programmatore vince la possibilità di passare una settimana con il geniale fondatore della sua azienda. Nel corso di questi sette giorni dovrà testare l’ultima creazione del suo capo: un’intelligenza artificiale autocosciente, con le fattezze di una bellissima ragazza.
Garland entra nel recinto di un affascinante sottogenere fantastico, quello del rapporto uomo-macchina, e lo allarga a dismisura, ponendo in Ex_Machina una serie di interrogativi etici e morali enormi a cui non vuole certamente dare delle risposte, semmai offrire degli strumenti essenziali per la costruzione di un dibattito. Film dal necessario impianto teatrale, l’opera prima dell’autore di The Beach ha nei dialoghi il punto di forza. Giochi di logica e digressioni filosofiche che lo scrittore porta a livelli terreni, rendendoli il motore del film, creando con un intelligenza il serrato ritmo narrativo proprio attraverso l’evoluzione del complesso ragionamento affrontato dai due protagonisti.
Un’opera dialettica e maieutica, gestita con grande bravura dai due protagonisti, Domhnall Gleeson e Oscar Isaac, quest’ultimo davvero eccezionale nei panni del genio ambiguo e tormentato. Tra loro la bellissima Alicia Vikander, robot con un cuore e un’anima. Forse. Ma quello che resta impresso di Ex_Machina è l’interrogativo che scienza, cinema e letteratura si pongono da anni, e a cui prima o poi bisognerà dare una risposta: gli androidi sognano pecore elettriche?