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Eureka di Lisandro Alonso @ Slot Machine
"Il tempo è una finzione, inventata dagli esseri umani". È il momento più alto di Eureka, il nuovo film di Lisandro Alonso, che torna a Cannes nove anni dopo il meraviglioso Jauja, allora in Un Certain Regard, stavolta in Première.
Il regista argentino chiama a sé ancora una volta il sodale Viggo Mortensen per il prologo di un'operazione - capiremo poi - suddivisa in tre parti, ognuna delle quali ambientata in diverse “dimensioni”, legate in maniera non convenzionale.
Inizialmente ci troviamo dentro un western in bianco e nero, catturato nello stesso aspect ratio quadrotto che era di Jauja: Viggo Mortensen arriva in un paesino decadente e inospitale, in cerca della figlia (altro rimando al film precedente), a dargli il benvenuto saranno un manipolo di ubriaconi, prostitute e una donna distinta, che si fa chiamare il Colonnello (è Chiara Mastroianni, madrina quest’anno al Festival di Cannes).
Senza svelare come, ci troviamo catapultati in un altro contesto: al mutare dell’aspect ratio muta anche la fotografia del film (siamo a colori qui), che ci porta nella quotidianità (o meglio in una nottata) di una riserva indiana in South Dakota, a Pine Ridge, stretta nella morsa di un gelo insopportabile. Con atmosfere che uniscono in modo miracoloso Fargo e Twin Peaks, Alonso – che in questa parte dà il meglio di sé – segue le vicende di Alaina (Clifford), poliziotta in servizio chiamata a risolvere le situazioni più disparate, faide familiari, automobilisti ubriachi, incontrando lungo il suo cammino il degrado di una comunità che sembra aver lasciato al meth e ai suicidi giovanili l’unico futuro possibile. In questo affresco desolante c’è però chi, come Alaina, cerca ancora un barlume di umanità. E, come lei, fa la nipote Sadie (Lapointe), giovanissima allenatrice di basket (“Mi chiamano Magic Johnson”, dirà all’automobilista in panne portata in quella palestra per ripararsi, sempre Chiara Mastroianni...) che però, ad un certo punto, dirà al nonno di essere pronta per “migrare”.
Ecco, il punto più alto di Eureka coincide anche con l’inizio della sua terza fase: siamo in Brasile, negli anni ‘70 verosimilmente, e un gruppo di indios si racconta a turno i propri sogni…
Come sempre alla ricerca di “ponti” capaci di unire vari mondi, Alonso prosegue dunque nell’esplorazione della cultura nativa e lo fa con un film dalla durata ancora una volta poco agevole (160’) e fiaccato forse da una simbologia un po’ troppo forzata (la trasmigrazione delle anime, lo spazio che domina sul tempo...). Resta però la grandezza di quella parte centrale, e quella continua chiamata a vuoto dalla centrale di polizia: “1-7-4 / 10-24, mi ricevi?”.