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Che Fernando Leon de Aranoa non fosse un regista da buttare lo disse Perfect Day, che Javier Bardem accarezzasse il progetto da lungo tempo lo dice la fame, la bramosia, il tutto per tutto che mette in Pablo Escobar. Signore come nessun altro del narcotraffico, è già stato debitamente ricompensato su grande, Escobar: Paradise Lost del nostro Andrea di Stefano strarring Benicio Del Toro, e piccolo, la serie Narcos con Wagner Moura, schermo.
Stavolta il punto di vista principale è donna, la giornalista televisiva Virginia Vallejo, che ne fu amante, confidente e persino consigliera e diede alle stampe un memoir, Loving Pablo, Hating Escobar.
Come da titolo, l’adattamento di De Aranoa privilegia il primo coté, perché complice il carisma di Bardem Pablo non lo si odia mai, malgrado le ammazzatine e le efferatezze comandate. Le geometrie variabili di Escobar accolgono Virginia alias Penélope Cruz, nella vita consorte di Bardem, mentre a completare il triangolo è Peter Sarsgaard nei completi di un superagente dell’antidroga americana.
La narratrice è la stessa Virginia, il caso Pablo è un affair che non elude il versante criminale, anzi, ma senza stigma: tenero padre, amante focoso, capo onnipotente, giustifica quel Loving, sebbene il terrore e la disperazione non finiscano nel fuoricampo.
Ottimo Bardem, massiccio (via protesi), imperante e divertito, a suo agio, e pure lei divertita, la Cruz. Loving Pablo inizia come una soap indolente, ma il suo sottostimarsi alla lunga paga: senza farsi prendere sul serio, si apre ghiotte possibilità, sia dal punto di vista stilistico - alcune esecuzioni sono davvero ben girate, scenografie e costumi sono all’altezza - che poetico, con battute che vanno ripetutamente a segno e un mal di vivere, e sopravvivere, che si insinua nel quadro. Insomma, niente male, lo spettacolo c’è, e qualcosa di più.