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Era ora - Foto di Fabio Lovino
Vi capita mai di fermarvi un secondo e rendervi conto che una moltitudine indefinita dei giorni trascorsi fino a quel momento sono passati così, senza che quasi ve ne siate resi conto?
Ecco, il quarto lungometraggio di Alessandro Aronadio declina in chiave fantasiosa questa sensazione, partendo da un modello cinematografico preesistente, Come se non ci fosse un domani - Long Story Short di Josh Lawson, film che a sua volta ragionava su un paradosso temporale molto simile a quello del seminale Ricomincio da capo di Harold Ramis.
In Era ora, presentato in anteprima alla Festa di Roma (Grand Public), prossimamente nelle sale con Vision, Dante (Edoardo Leo) e Alice (Barbara Ronchi) si amano alla follia. Peccato che lui sia la tipica persona a cui una giornata non basta mai, che arriva sempre in ritardo e si barcamena a fatica tra i mille impegni quotidiani di lavoro e vita privata. Succede anche il primo giorno del suo quarantesimo compleanno, quando Dante si presenta in estremo ritardo alla sua festa.
E l’indomani mattina l’incredibile risveglio: da quella sera è trascorso un anno preciso. Come è possibile che sia già il giorno del suo quarantunesimo compleanno? E come fa Alice a essere incinta di quattro mesi? Cosa ne è stato del resto del suo anno? Quando, a un suo nuovo risveglio, Alice gli mette tra le braccia una bella bambina di qualche mese augurandogli buon quarantaduesimo compleanno, Dante realizza definitivamente di essere stato catapultato in un incubo a occhi aperti: per qualche inspiegabile motivo sta vivendo una vita accelerata, di cui non ha memoria né controllo. Riuscirà a comprendere il valore del tempo prima che la sua vita vada a rotoli?
La chiave di lettura è interessante, lo spunto obbliga alla riflessione, che è quanto mai attuale considerando i ritmi a cui sembra ormai tutti quanti noi ci siamo abituati: è possibile, ogni tanto, fermarci, anche a non fare nulla, semplicemente per stare con noi stessi o insieme alle persone che amiamo?
Aronadio, che ammette di aver riflettuto a lungo prima di cimentarsi in un remake, svela che quello di Long Story Short è stato solo un punto di partenza: “L’ipotesi di affrontare il tema dell’inesorabile passare del tempo attraverso i toni della commedia mi sembrava una sfida interessante. In più volevo da sempre confrontarmi con la possibilità di fare una romantic comedy, anche se a modo mio. “Ho proposto quindi ai produttori di mantenere del simpatico film originale solo l’idea dei salti temporali e qualche situazione divertente, e permettermi di riscrivere tutto il film daccapo. Sorprendentemente, i produttori hanno accettato”.
Ecco quindi che Edoardo Leo incarna il prototipo dell’uomo sempre proiettato nel futuro, “la vita è domani, ieri è già troppo tardi, l’oggi non esiste”, mentre l’Alice (nome non casuale...) di Barbara Ronchi (sempre molto brava) è una donna completamente a suo agio nella propria dimensione, che continua a coltivare i propri sogni e le proprie passioni: tutto quello che ruota intorno ai due protagonisti, e i relativi cambiamenti repentini per Dante (e, di riflesso, per lo spettatore) è affidato ad amici (Mario Sgueglia), genitori (Massimo Vertmüller, il padre di lui), nuove compagne o compagni (Francesca Cavallin e Raz Degan).
Probabilmente qualcuna delle tante situazioni è superflua, il film ogni tanto indugia nel meccanismo, le “sorprese” dopo un po’ non sorprendono come in precedenza, il finale è ovviamente happy, ma resta viva la riflessione fatta qualche riga più in alto. Perché quello che rischiamo di perdere ogni giorno, convinti che “tanto c’è tempo”, difficilmente tornerà mai più. O quantomeno, non allo stesso modo.